Non è mai facile iniziare la propria carriera quando porti un cognome importante e tuo padre è entrato nella storia di uno sport. Tutti ti osservano, vogliono vedere se davvero hai talento o se sei uno dei tanti "raccomandati" che non meritano questa fortuna. Tale peso è ricaduto anche sulle spalle di un ragazzo poco più che ventenne, arrivato con grandi prospettive a Milano ma che ad un tratto sembrava sul punto di mollare. Per fortuna, quel ragazzino ha deciso di andare avanti per la sua strada, e ha vissuto una splendida carriera sportiva, tanto da raggiungere e superare la fama del suo amato papà . Il protagonista di questa storia si chiama Sandro Mazzola, e proprio oggi compie 70 anni.
La sua infanzia non è certo avara di problemi: suo padre, il mitico Valentino, e sua madre si separano quando lui è molto piccolo, e nel 1949 perde il suo amato genitore nel terribile disastro aereo di Superga, in cui tutto il Grande Torino perisce. Seguendo le orme del papà , il piccolo Sandro sviluppa da subito un'enorme passione per il calcio, e nonostante le difficoltà economiche in cui versa la sua famiglia riesce a entrare nelle giovanili dell'Inter. Qui, riceve i preziosi insegnamenti di una vecchia gloria nerazzurra, Giuseppe Meazza, che lo aiuta a sviluppare il suo talento e gli insegna il ruolo del centravanti, anche se lui preferisce stare a centrocampo. L'esordio in serie A è piuttosto traumatico: nel giugno del 1961 l'Inter deve recuperare la sfida contro la Juventus, e per protesta il presidente Angelo Moratti fa scendere in campo la squadra primavera. La partita finisce con un rotondo 9-1 in favore dei bianconeri, e l'unico gol dell'Inter lo segna proprio Mazzola su calcio di rigore. Il suo inserimento in prima squadra è lento e tormentato: Moratti stravede per lui e lo vede come un ottimo prospetto, ma l'allenatore, il Mago Helenio Herrera, inizialmente è poco convinto delle sue prestazioni e pensa che il ragazzo non sia adatto al suo gioco. Sandro soffre anche la pressione per il suo cognome, che ricorda a tutti il suo defunto padre, e le critiche e le voci che lo vogliono un raccomandato senza meriti lo feriscono molto. Pensa anche di lasciare il basket per un po', poi però gli incoraggiamenti del fratello Ferruccio e la sua determinazione hanno la meglio.
La stagione 1962-63 è quella della sua esplosione: Herrera gli concede qualche chance da titolare (all'epoca non c'erano le sostituzioni in campionato), lui finalmente si sblocca e fa vedere a tutti le sue qualità . Nel ruolo di centravanti, trascina l'Inter al suo primo scudetto del ciclo dell'allenatore spagnolo, segnando anche il gol-partita nella sfida decisiva contro la Juventus. E' l'inizio di una striscia di vittorie incredibili, nelle quali Sandro veste sempre i panni del protagonista: l'Inter vince altri due scudetti, nel 1965 e 1966, arrivando così a fregiarsi della prima stella, e soprattutto conquista due Coppe dei Campioni nel 1964 (due gol di Mazzola nel 3-1 in finale contro il Real Madrid dei fenomeni) e 1965, e due Coppe Intercontinentali. Quella squadra è ormai nell'immaginario di tutti gli sportivi italiani: oltre a Mazzola, i vari Facchetti, Burgnich, Guarneri, Picchi, Jair, Suarez e Corso sono dei veri miti per i tifosi interisti, e il mito della Grande Inter di Herrera e Moratti si diffonde presto in tutta Europa e nel Mondo. Non è una squadra di amici, come in tutti i gruppi con personalità forti ci sono scontri e incomprensioni, e i rigidissimi metodi di allenamenti del Mago qualche volta alimentano queste tensioni, ma in campo si vede solo una sinfonia armoniosa, una poesia per gli occhi.
Il ciclo si interrompe nel 1967, quando l'Inter perde nello stesso anno lo scudetto all'ultima giornata e la finale della Coppa dei Campioni contro i Celtic di Glasgow, nonostante il vantaggio iniziale firmato ancora da Mazzola. Herrera lascia Milano, la squadra comincia a perdere alcune delle sue pedine storiche, ma Sandro rimane uno dei simboli della squadra, con cui giocherà fino alla fine della sua carriera, arretrando la sua posizione a centrocampo, proprio come sognava. Arriverà un altro titolo, nel 1971, dopo una storica rimonta sui rivali del Milan, e un'altra finale di Coppa dei Campioni l'anno dopo, anche questa persa, contro l'Ajax del mitico Cruyff. Nel 1977, Mazzola decide di dire basta con il calcio giocato, e lascia l'Inter dopo 565 partite e 160 reti complessive, quarto nella classifica di tutti i tempi in entrambi i casi. Diventa in due occasioni dirigente per i nerazzurri, oltre che per il Genoa e per il Torino, e ha la grande soddisfazione di portare a Milano un giovanissimo Ronaldo nell'estate del 1997, oltre a bloccare un certo Platini, che la società deciderà di non acquistare; in seguito è anche opinionista e commentatore televisivo con la RAI, e ha la fortuna di commentare il vittorioso Mondiale del 2006.
A proposito della Nazionale, anche la sua carriera in azzurro, che inizia quasi in contemporanea con quella nel club, è ricca di gol e soddisfazioni. Esordisce a Milano nel 1963, contro il grande Brasile di Pelé bi-campione del Mondo, e si toglie la soddisfazione di marcare una rete nel 3-0 finale. Dopo l'infausto Mondiale del 1966, quello della Corea del Nord per intenderci, è uno dei punti di forza dell'Italia di Ferruccio Valcareggi, che riporta lustro al calcio nazionale dopo anni di delusioni e umiliazioni. Nel 1968 è membro della squadra che riesce a vincere il Campionato Europeo, battendo nella doppia finale la Jugoslavia e regalando un titolo agli azzurri dopo 30 anni esatti; salta la prima finale per indisposizione e non la prende bene, ma nella ripetizione Valcareggi lo schiera titolare e lui disputa una grande partita. Nel 1970 è parte integrante della squadra che arriva seconda nel Mondiale del 1970 alle spalle del Brasile, e protagonista della discussa "staffetta" con cui Valcareggi alterna lui e Gianni Rivera, stella del Milan arcirivale della sua Inter, facendo giocare un tempo ad entrambi, con Sandro titolare e Gianni che gli subentra nella ripresa. Chiude la carriera in Nazionale nel 1974, dopo lo sfortunato Mondiale tedesco, con all'attivo 70 presenze e 22 reti.
Ha fatto storia, il vecchio Sandro, è stato uno dei grandi protagonisti del calcio italiano di tutti i tempi e ha saputo dimostrare ai critici che non era solo un raccomandato di lusso, ma un campione vero. Per anni è stato il simbolo della Milano nerazzurra, e ha infiammato i derby della Madonnina insieme al suo fiero avversario Rivera, un rivale in campo ma un campione che ha sempre rispettato profondamente al di là di quello che hanno sempre scritto i giornalisti. Avrebbe probabilmente meritato di vincere il Pallone d'Oro come Gianni, ma non è stato altrettanto fortunato ed è arrivato al massimo secondo nel 1971, alle spalle di Cruyff. Il suo dribbling ubriacante, la sua grande tecnica e il suo estro sotto porta, e quei baffetti unici e inconfondibili hanno fatto sognare intere generazioni di bambini, cresciuti con la sua figurina o con quella di altri grandi della sua epoca nel diario. Per loro, lui rimarrà sempre il ragazzo esile e talentuoso con i baffetti, un campione immortale che non invecchia mai, che resta giovane in eterno.
Auguri Sandrino!