Ci sono occasioni in cui lo sport può assumere un ruolo marginale, come uno spunto per dare inizio al racconto di storie straordinarie, fuori dal comune, che non possono essere dimenticate. In questo caso, il nostro racconto inizia con una partita di rugby che si è disputata per celebrare una sfida che si sarebbe dovuta giocare 40 anni prima e cheinvece non si giocò mai. I nomi Old Christians Club e Old Grangonian Club (i due team in campo, rispettivamente uruguaiano e cileno) probabilmente dicono poco o nulla a moltissimi lettori, così come quelli di alcuni di questi giocatori ormai invecchiati, come Roberto Canessa, Nando Parrado, Carlitos Paez. Loro, con tanti altri compagni, dovevano scendere in campo a Santiago il 14 ottobre del 1972, ma il destino si pose crudelmente sulla loro strada, sottoponendoli ad una prova terribile.
Il giorno prima della gara, l'aereo su cui erano in viaggio precipita sulle Ande per un errore di calcolo dei piloti, che sbagliano la rotta e non riescono ad evitare l'urto con le montagne. L'impatto è terribile, il velivolo carico di giovani atleti, con alcuni parenti e membri dello staff, si schianta violentemente nella neve. Alcuni muoiono sul colpo, altri poche ore dopo per le ferite riportate, tutti sono terrorizzati e non hanno idea di dove si trovano e di cosa possono fare per sopravvivere. Le ricerche delle autorità sono inutili, i resti dell'aereo bianco si confondono con la neve, e dopo dieci giorni tutti vengono dichiarati ufficialmente morti. Nel momento di massima disperazione, il primo a decidere di non mollare è Nando Parrado, che poco prima dello schianto aveva cambiato posto con un compagno, salvandosi la vita in modo incredibile. E' lui il primo a dare la scossa, insieme a Roberto Canessa e a quelli che riescono a mantenere intatta la voglia di lottare, di non arrendersi alle avversità , di sopravvivere. Ricavano tutto quello che possono dalla carcassa dell'aereo, creano ripari per scaldarsi e combattere il freddo, occhiali contro il riverbero, con metodi ingegnosi distillano acqua pulita dalla neve per riuscire a dissetarsi. A corto di cibo e ormai stremati, infine, compiono un gesto estremo: pur di restare vivi, scelgono di trarre nutrimento dai corpi di compagni e amici deceduti, una decisione terribile dettata dalla drammaticità del momento e da un enorme istinto di sopravvivenza.
Due mesi dopo lo schianto, prostrati dal freddo e dalla denutrizione, Parrado e Canessa decidono con i compagni di tentare il tutto per tutto, e basandosi sulle poche informazioni che hanno organizzano una spedizione per scendere a valle e cercare aiuto. Proprio loro due sono designati a compiere l'estremo tentativo, e si lanciano in una terribile marcia tra la neve e le rocce, che dura dieci giorni ma sembra eterna. Arrivati in qualche modo a valle, e quasi al limite delle proprie forze, vengono visti finalmente da un mandriano cileno, che riesce a scoprire la loro storia e finalmente li porta in salvo. Il giorno dopo, sotto la guida di Parrado, due elicotteri militari cileni arrivano sul luogo del disastro e portano in salvo anche gli ultimi superstiti. Erano partiti in 40, in 16 riescono a tornare a casa, debilitati ma felici.
Questa storia incredibile è entrata ormai nell'immaginario collettivo come uno dei più incredibili casi di sopravvivenza in condizioni disperate, anzi estreme. La vicenda di quei ragazzi, alcuni dei quali non avevano nemmeno compiuto vent'anni, ha dato origine a libri, film, documentari, e si è scritto davvero tanto sulla loro incredibile forza di volontà , e sulla terribile scelta di ricorrere alla carne dei propri compagni morti pur di sopravvivere. Parrado, Canessa e tutti gli altri superstiti si sono recati più volte sui luoghi dello schianto, celebrando messe in onore delle vittime e costruendo un monumento funebre con i resti dell'aereo. Il 14 ottobre, come detto, sono scesi in campo a Santiago insieme agli altri reduci di quel tremendo giorno di 40 anni fa. Molti di loro sono diventati padri, forse anche nonni, hanno i capelli bianchi e non sono più gli atleti di un tempo, ma l'entusiasmo e la voglia di giocare brillava ancora chiaramente nei loro occhi. Scendere in campo in quest'occasione è stata l'ennesima dimostrazione della loro gioia di vivere, della determinazione con cui hanno sempre affrontato la vita dopo quella terribile disavventura. Al di là di ogni moralismo e di tutte le dietrologie sulle loro scelte in quei terribili giorni, la loro lezione di vita rimarrà sempre indelebile nella memoria di tutti.