Nella suggestiva cornice dello Stade D'Angondjé di Libreville, capitale del Gabon, la Coppa d'Africa 2012 ha designato la sua nuova regina.
Data l'assenza dell'Egitto, campione nelle tre edizioni precedenti, tutti gli esperti puntavano sull'affermazione di una tra le nuove superpotenze del calcio africano, il Ghana di Asamoah e Muntari, o la Costa D'Avorio di Drogba e dei fratelli Touré; invece, a sorpresa, il successo finale ha arriso allo Zambia, non certo una delle favorite alla vigilia. C'è da dire infatti che la nazionale zambiana non ha mai avuto una grande tradizione nel calcio internazionale, ma per noi italiani rappresenta un ricordo piuttosto spiacevole.
19 settembre 1988, Olimpiadi di Seul: la nazionale olimpica azzurra, che tra gli altri può contare su Tacconi, Carnevale, Virdis, Ferrara, Tassotti e De Agostini, affronta lo sconosciuto e, sulla carta, debole Zambia; gli africani dominano la partita dal primo all'ultimo minuto e si impongono con un sonante 4 a 0, una delle sconfitte più umilianti di sempre per il calcio italiano. Mattatore di quella giornata e di quel torneo è Kalusha Bwalya, l'uomo simbolo dei Chipolopolo (i proiettili di rame, questo il loro soprannome), autore di una tripletta contro l'Italia e di ben 6 reti totali in sole 4 partite, e nonostante lo Zambia esca ai quarti contro la fortissima Germania Ovest (ancora uno 0-4, ma stavolta a loro svantaggio), tutti parlano dell'ascesa di questa nuova realtà del calcio africano. A interrompere bruscamente il sogno sportiva dell'intera nazione, però, ci pensa una tragica fatalità : il 27 aprile del 1993 l'aereo che porta la nazionale zambiana in Senegal per una partita di qualificazione ai Mondiali del '94 precipita nell'Oceano Atlantico, proprio di fronte alle coste del Gabon; non ci sono superstiti, 30 persone tra giocatori, giornalisti, staff e membri dell'equipaggio trovano la morte, si salvano solo Bwalya e pochi altri, che non sono con la squadra per infortunio o perché impegnati in Europa con i club. E' una tragedia spaventosa per lo Zambia e per il calcio africano in genere, un disastro che si può paragonare a quello di Superga del 1949, quando a sparire fu il Grande Torino, la squadra più forte d'Italia e il perno della Nazionale.
Dopo le lacrime, tutti gli sportivi zambiani si stringono al loro simbolo, il capitano Bwalya, e gli chiedono di onorare i compagni caduti e portare in alto la bandiera dei Chipolopolo; il fuoriclasse non si scompone, si assume tutte le responsabilità del leader e tenta l'impresa, ma purtroppo fallisce la qualificazione alla Coppa del Mondo, che prima della tragedia era davvero molto vicina. L'anno dopo, tuttavia, nonostante il brusco rinnovamento lo Zambia ha la grande occasione di scrivere la storia: disputa una grande Coppa d'Africa, al di là di ogni attesa, e per la seconda volta nella sua storia arriva in finale, dove però deve arrendersi contro le Aquile della Nigeria, che avrebbero poi stupito anche nel Mondiale americano; due anni dopo, nell'edizione successiva del torneo, i Chipolopolo si confermano una delle squadre più forti del continente, ma devono accontentarsi del terzo posto finale e del titolo di capocannoniere per Bwalya. Da quel momento, tuttavia, la grande epopea dello Zambia sembra spegnersi definitivamente, la squadra cala di rendimento, fallisce sia nelle qualificazioni ai Mondiali sia nelle successive Coppe d'Africa, e il ritiro del leader e goleador Bwalya sembra la pietra tombale alle speranze del calcio zambiano.
Nel 2010 tuttavia, sotto la guida dell'allenatore francese Hervé Renard, i Chipolopolo vivono una nuova rinascita, riescono a superare un difficile girone nella Coppa d'Africa e accedono ai quarti di finale, dove vengono eliminati ancora una volta dalla Nigeria ai calci di rigore; è il miglior risultato da 14 anni a questa parte per lo Zambia, ma la mancata qualificazione ai Mondiali sudafricani convince il c.t. a non rinnovare il contratto, lasciando il posto in panchina a Dario Bonetti, che segna quindi un nuovo incrocio tra il calcio zambiano e quello italiano. Sotto la nuova guida tecnica, la squadra ottiene la qualificazione alla Coppa d'Africa 2012, ma proprio dopo l'ultima partita Bwalya, diventato nel frattempo Presidente della Federcalcio Zambiana, si dice poco soddisfatto del lavoro svolto dall'italiano e decide di esonerarlo, richiamando Renard sulla panchina; sembra una scelta azzardata, invece proprio con la guida del coach francese lo Zambia riesce ad arrivare lì dove non era mai giunto: al titolo di campione d'Africa. Dopo aver eliminato in girone il Senegal, da molti considerata una delle squadre favorite alla vittoria, e aver superato l'abbordabile Sudan nei quarti, i Chipolopolo hanno affrontato una dopo l'altra il Ghana e la Costa D'Avorio, sicuramente le due formazioni più forti del torneo; le hanno battute entrambe, la prima in semifinale, la seconda in finale ai rigori, guadagnandosi con merito la vittoria finale, il tutto a pochissima distanza dal luogo del terribile schianto del 1993.
Dispiace un po' soprattutto per gli ivoriani, battuti nell'atto conclusivo senza aver subito nemmeno un gol in tutto il torneo, e per il loro leader Didier Drogba, che ha sprecato l'occasione della vita ancora una volta, quando ha sprecato un rigore durante i tempi regolamentari; per gli Elefanti continua la maledizione della Coppa d'Africa, che hanno vinto una sola volta nel 1992 e hanno sfiorato più volte nelle edizioni recenti, senza mai riuscire tuttavia ad alzare il trofeo. Ma stavolta è giusto che sia andata così, perché ieri ad alzare la coppa non c'erano solo il capitano Katongo e tutti i suoi compagni di squadra, insieme al mister Renard e al presidente-simbolo Bwalya: c'era una Nazione intera, che cantava e ballava commossa, e c'erano soprattutto gli sfortunati giocatori periti a nemmeno un chilometro di distanza da Libreville, la città in cui si è disputata la finale; forse proprio dal loro ricordo, ancora così vivo dopo quasi vent'anni, è arrivata la spinta decisiva per lo Zambia, che da eterna incompiuta si è trasformata finalmente in una squadra vincente.