Francesco Evangelista, 32 anni, Ricercatore Postdoc in “Chimica Computazionale” alla Yale University in USA, in fase di trasferimento alla Emory University come Assistant Professor.
Francesco ha studiato all’Itis 'E. Mattei' di Vasto, nel 2004 ha ottenuto il diploma di laurea in chimica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, nel 2008 il dottorato di ricerca (PhD) in chimica computazionale University of Georgia USA. Dopo un anno in Germania con una Borsa di studio della Fondazione Alexander von Humboldt all'Università di Mainz, nel 2011 è tornato in USA. Parla inglese.
Francesco, quali sono stati i passaggi che da Vasto ti hanno portato in USA?
Ho iniziato a studiare chimica all'Istituto Tecnico Industriale di Vasto, dove ho frequentato la specializzazione di chimica industriale. Una volta diplomato, dopo aver passato l'intera estate a studiare, ho partecipato e superato il concorso per chimica alla Scuola Normale Superiore di Pisa. L'esperienza in Normale è stata veramente straordinaria, tuttavia mi ricordo che ero un po' deluso dal fatto che prima della laurea non c'erano delle opportunità concrete di fare ricerca. Durante i primi anni alla Normale avevo sentito che altri studenti erano andati negli USA per fare un'esperienza di ricerca durante l'estate. Ho deciso allora di provare a partecipare a un programma di ricerca estivo in Chimica Computazionale, diretto dal Professore "Fritz" Schaefer all'Università della Georgia, negli USA. Quest'esperienza mi ha veramente aperto gli occhi!
Nel senso che è stata determinante per le scelte future?
Effettivamente sì. Un intero piano dell'edificio di chimica computazionale era dedicato al gruppo di Schaefer che allora contava circa quindici persone in totale. C'erano molte opportunità per discutere le proprie idee e conoscere persone in visita da tutto il mondo. Mi ricordo anche che rimasi colpito dal modo aperto di fare ricerca: mi era stato affidato un mentore, ma in pratica tutta la responsabilità di finire il mio progetto era mia. Questa collaborazione fu un successo e mi permise di pubblicare il mio articolo scientifico. Tre mesi dopo essere tornato in Italia, ho ricevuto una lettera dal professore Schaefer nella quale mi offriva una borsa di studio per fare un dottorato di ricerca all'Università della Georgia. All'inizio non ero sicuro di voler partire, ma in seguito mi sono reso conto delle migliori opportunità che avrei avuto negli USA. Dopo aver finito il dottorato, ho vinto una borsa di studio della Fondazione Humboldt che mi ha consentito di fare ricerca in a Mainz, in Germania. L'anno scorso sono tornato negli USA dove sono ricercatore alla Yale University, in Connecticut.
Con l’inglese sei andato facile, vero?
Parlo e scrivo l'inglese ormai come se fosse la mia prima lingua. A volte mi è più difficile parlare in italiano che in inglese! Avendo una mamma americana, è chiaro che è stato facile per me imparare l'inglese, tuttavia ho dovuto impegnarmi molto per raggiungere la padronanza necessaria per scrivere in un inglese accademico. In un certo senso questo è ironico perché non ho mai avuto un'inclinazione per la scrittura. Ora scrivo in media almeno per due ore il giorno e quando non è per motivi burocratici, è un'attività che trovo alquanto piacevole.
Oggi di cosa ti occupi alla Yale University?
Alla Yale University il mio lavoro consiste al 100% di ricerca. Il mio campo di studio è molto vario e spazia da questioni fondamentali di chimica allo sviluppo di tecnologie per l'utilizzo dell'energia solare. Da chimico computazionale mi occupo di sviluppare programmi per computer che mi consentono di simulare atomi e molecole. Io uso questi strumenti per prevedere le proprietà di molecole, guidare nuovi esperimenti e interpretarne i risultati. Un esempio concreto è il problema di riprodurre in laboratorio quello che le piante fanno in natura: catturare l'energia solare e immagazzinarla in molecole. Recentemente degli esperimenti che hanno dimostrato come realizzare una foglia artificiale, in pratica un pannello solare che produce idrogeno da acqua e luce. Il problema che abbiamo ora è di cercare di capire qual è il meccanismo di funzionamento di questo dispositivo in modo tale da poterne migliorare l'efficienza e quindi trasformarlo da un prototipo a un prodotto realmente utilizzabile.
Il tuo è un ambiente internazionale molto stimolante, da italiano come ti trovi?
Ovunque ho vissuto per motivi di studio e ricerca mi sono trovato molto bene. È del tutto naturale all'inizio avere un po' di difficoltà ad ambientarsi. La mia esperienza mi ha insegnato che in genere questo periodo dura poco. Anzi, poi ci s'inizia ad accorgere di tutte quelle cose che funzionano diversamente e soprattutto di quelle che funzionano meglio. Avendo vissuto in Italia, Germania e USA, il mio paese ideale è un misto di questi tre. Lavorare all'estero mi ha portato a contatto con persone di tutto il mondo e mi ha aiutato ad apprezzare le differenze culturali con i miei colleghi che vengono per esempio dall'India, dal Giappone, la Cina.
Tu lavori in un campo molto specialistico, cosa hai fatto per acquisire le giuste competenze?
Il dottorato di ricerca è stato fondamentale, non solo perché mi ha consentito di approfondire i miei studi, ma anche perché mi ha dato la possibilità di sviluppare delle capacità che sono essenziali per fare ricerca e che sono difficili da trasmettere in aula: indipendenza e perseveranza. Per esempio, verso la fine del primo anno di dottorato mi ero imbattuto in un problema che non mi consentiva di procedere con le mie ricerche. Dopo un po' di tentativi decisi di chiedere l'opinione di un esperto. A mia sorpresa, mi disse francamente che non aveva idea di come risolvere il problema. Questo cambiò tutto. A quel punto non restava che darsi veramente da fare perché nessuno mi avrebbe potuto aiutare con questo problema. A partire con il dottorato, la maggior parte delle conoscenze scientifiche l'ho dovuta acquisire da solo leggendo alcuni libri e molti articoli scientifici. Quando si svolge un'attività di ricerca, è molto importante tenersi aggiornati e gli articoli scientifici sono il mezzo più efficiente per lo scambio di nuove idee. Oltre a questo, penso che sia stato molto importante far parte di un gruppo di ricerca. Quando si è circondati da esperti e si lavora in un'atmosfera che incoraggia lo scambio d'idee, è inevitabile imparare l'uno dall'altro.
Che progetti hai per il tuo futuro?
Fra sei mesi inizierò a lavorare come professore in un'università statunitense, la Emory University, ad Atlanta, in Georgia. Per me questo significa formare e guidare un gruppo di ricerca, attrarre finanziamenti e insegnare. Questa è una grossa sfida ma sono molto contento perché per me è anche un sogno che si realizza. In futuro spero di riuscire a instaurare un rapporto con atenei italiani e di poter dare un'opportunità per fare ricerca a giovani talenti. Vista la situazione in Italia e in Europa, di questi tempi ne hanno molto bisogno.
E con Vasto come la metti?
Con il passare degli anni Vasto non fa che mancarmi di più. E' il posto dove sono nato, ho vissuto la mia infanzia e adolescenza, e dove mi piacerebbe tornare per vivere, chi sa, una volta andato in pensione. E soprattutto ora che io e mia moglie aspettiamo un figlio, vorrei che lui possa fare esperienza di com'è stata la mia infanzia a Vasto. Poi sono grato per tutti quei vastesi che mi hanno incoraggiato e aiutato a seguire la mia passione per la chimica. Penso a diverse figure professionali (chimici, farmacisti, e perfino un enologo) che invece di ignorare la curiosità di un ragazzino interessato alle scienze, l'hanno incoraggiata e guidata. E poi mi vengono in mente i professori di chimica che ho avuto nel triennio di specializzazione all'Industriale: mi hanno dato una preparazione che è stata alla base del mio futuro professionale.
Cosa consigli ai giovani vastesi che intraprendono l’università o sono in cerca di lavoro?
Prima di tutto di non sottovalutarsi. E' vero che la competizione per affermarsi a livello professionale è globale e che le conoscenze specialistiche stanno diventando molto più accessibili, tuttavia anche che se si nasce in una piccola città ci sono le condizioni per eccellere. Basta leggere alcune delle tue interviste ai giovani vastesi nel mondo per convincersi di questo. Il secondo consiglio è di essere aperti a partire e decidere di lavorare all'estero. Forse, più che i giovani, sono i loro genitori che andrebbero consigliati di incoraggiare i propri figli a seguire i loro sogni ovunque li porteranno. L'ultimo consiglio è di assumersi piena responsabilità del proprio futuro quanto prima possibile.
In conclusione vogliamo aggiungere che la Yale University - dove attualmente Francesco Evangelista è ricercatore postdoc – è una delle più prestigiose università americane. E che superare la selezione per diventare Assistant Professor a 32 anni in un'altra università americana non è cosa facile. Le nostre più vive congratulazioni a Francesco per tutto l’impegno che ha messo finora per raggiungere questo meritatissimo traguardo.