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Un'altra azienda-simbolo del territorio a rischio: la Canali scende in strada

Altissima l'adesione allo sciopero proclamato dalle organizzazioni sindacali

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Quattro ore di sciopero, ieri, per tutto lo stabilimento Canali di Gissi; un altro simbolo dell'occupazione femminile del Vastese insediatosi nel 1992. Adesione altissima, oltre l'80%, tra i dipendendi dei due reparti.

In strada sono scesi i lavoratori che confezionano pantaloni eleganti. Fino al 14 gennaio prossimo saranno coperti dai contratti di solidarietà. Lavorano solo 2 giorni a settimana con una produzione scesa a 540 pezzi al giorno. «Prima - spiegano i manifestanti - eravamo in grado di confezionare 850 paia di pantaloni al giorno. Ci è stato detto che se la produzione dovesse scendere sotto le 500 unità giornaliere il reparto chiude, ma ci impediscono di produrre». La decisione della proprietà è chiudere a fine anno. Il possibile acquirente si è fatto indietro all'ultimo momento, mentre Canali non ha cambiato le proprie intenzioni gettando nell'incertezza 97 lavoratori distribuiti fra i vari comuni del Vastese. 

Su quest'ultimo punto gli scioperanti gettano qualche dubbio: «Nei mesi scorsi non era dato sapere chi fosse il probabile imprenditore per evitare fughe di notizie, ma neanche ora questo ci viene detto». Secondo alcune indiscrezioni dei giorni scorsi sarebbe dovuta essere la Max Mara a rilevare il pantalonificio (lo ha detto in pubblico l'onorevole Cesare Damiano durante il convegno di venerdì scorso), ma conferme 'ufficiali' non ce ne sono state e tantomeno si conoscono le ragioni della rottura delle trattative. «Non vorremmo - concludono - che non vi sia stata alcuna trattativa e sia stato solo un modo per tenerci calmi per poi liquidarci».

SOLIDARIETÀ E PREOCCUPAZIONE - Davanti allo stabilimento c'erano anche i colleghi del reparto giacche. Non ha le stesse difficoltà del pantalonificio; per ora c'è la cassa integrazione. La parola 'tranquillità', però, è l'ultima che si può associare ai 192 operai. «Siamo qui per solidarietà, ma non solo - spiegano - Una volta che chiude un reparto, Canali non ha più convienienza nel tenerne aperto uno solo e continuare a pagare le tasse per l'intero stabilimento. Per questo siamo preoccupati e chiediamo che la proprietà, che non è in crisi, trovi una situazione al proprio interno». Qualcuno azzarda che lo stesso calvario si possa ripresentare fra due anni.

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