Droga e tossicodipendenze, un problema volutamente ignorato dalle istituzioni, un male dal forte impatto sociale di cui però si preferisce non parlare. «Chi ne è colpito se la veda da solo, perché alla fine l’ha voluto lui».
E invece a Celenza sul Trigno, l'altro pomeriggio, si è parlato proprio di droga e alcool, nel corso del convegno organizzato dalla Proloco dal titolo: “La trappola delle tossicodipendenze”. Relatore dell’incontro il salesiano don Luigi Giovannoni, fondatore e presidente della comunità di recupero “Soggiorno Proposta” di Ortona.
Il sacerdote, da oltre trenta anni impegnato a recuperare i giovani caduti nel baratro della tossicodipendenza, ha denunciato il silenzio che si cerca volutamente di fare attorno a questo problema. «I soldi per il sociale e per la sanità sono destinati ad altri settori, - ha dichiarato don Luigi Giovannoni - ma non per i drogati, per loro non ce ne sono, perché devono arrangiarsi da soli visto che in qualche modo l’hanno voluto loro, se la sono cercata». Un discorso di comodo che è facile ascoltare anche da parte di chi si professa cristiano e che dunque dovrebbe riconoscere proprio nel drogato il suo fratello.
«L’età di approccio alle droghe si abbassa sempre di più. - ha spiegato don Luigi - E dall’eroina o dalla cocaina si è passati ad altre sostanze, più facili da trovare: l’alcol, ad esempio, oppure le pasticche, gli psicofarmaci. Dipendenza emergente è quella del gioco. Rispetto a queste tematiche l’obbligo morale di ciascuno deve essere la prevenzione».
Particolarmente significative le testimonianza fornite da due ragazzi ospiti della struttura di recupero di Ortona, che stanno completando il percorso riabilitativo. «Tutti possono sbagliare, - ha detto uno di quei ragazzi di cui volutamente non facciamo il nome - ma un’altra opportunità non deve essere negata a nessuno».
A chiusura del convegno la presidente della Proloco, Milena Spalletta (nella foto in basso), ha voluto leggere la lettera inviata da Chiara Albanese, giovane di Agnone che ha perso il fratello proprio a causa della tossicodipendenza. «La vita è libertà. La droga invece non dà alternative, non dà seconde possibilità. Giuseppe morì nel 2006 a soli ventidue anni in quel tunnel della droga. Quel che resta sono queste poche parole di una sorella che continua a sperare che la droga non uccida più nessuno».