Il calcio, come diceva Bob Marley, “significa libertà, creatività, significa dare libero corso alla propria ispirazione.”
Insomma, non è solo una questione di piedi.
L’ho imparato sulla mia pelle in nove anni di calcio giovanile e continuo a impararlo giorno dopo giorno, nel ruolo di tifoso che non è certo secondario.
Il calcio mi ha insegnato tanto, soprattutto fuori dal campo.
Mi ha impresso nel cuore e nella testa valori come lealtà, tolleranza e rispetto.
Mi ha fatto capire l’importanza del gruppo e la necessità, a volte, di mettere in secondo piano se stessi per il bene della collettività.
Mi ha insegnato a perdere, ma anche a rialzarmi e a non mollare.
Mi ha aiutato a vedere negli avversari sul campo non dei nemici, ma degli appassionati come me.
Soprattutto, mi ha insegnato a non discriminare mai il prossimo e a vedere diversità soltanto nel colore della maglia.
Non è accaduto solo a me.
Tanti ragazzi (e negli ultimi tempi anche ragazze) vivono la mia stessa esperienza e la portano dentro tutta la vita.
Al di là del valore che ha per l’individuo, il calcio è anche un fenomeno sociale.
Soprattutto nei territori più isolati e nelle piccole comunità.
È un fattore di unità che risveglia il sentimento di amore verso il proprio paese.
È uno strumento che unisce individui con enormi differenze sociali, economiche, politiche e culturali.
È l’antidoto a ogni forma di divisione.
Nella nostra Cupello, il calcio non è mai stato un problema ma sempre un motivo di crescita.
Cito solo due aspetti, tra i tanti:
1. il campo in erba sintetica, che ha portato a giocare qui tanti ragazzi provenienti da Monteodorisio, Vasto, San Salvo, Furci, San Buono e tanti altri comuni del Vastese. Non parlo a vanvera perché con questi ragazzi ho condiviso momenti dentro e fuori dal campo.
Ma soprattutto
2. il fatto che il calcio a Cupello abbia formato generazioni di ragazzi che oggi sono diventati uomini veri in famiglia, nel lavoro e nella società.
Uno dei miei insegnanti migliori, che portava il mio stesso nome, con un passato da Presidente della Virtus Cupello, mi ripeteva spesso:
“Il ricordo di quegli anni che porto con me è il fatto di aver formato grandi uomini, prima che grandi calciatori”.
Con tutto questo non voglio dire che il calcio debba essere l’unico tratto caratteristico di una comunità. Ma certamente è uno degli ingredienti possibili per mantenerla unita e viva.
Un consiglio a chi minimizza il calcio è quello di viverlo, anche per un solo istante. Ne trarrete insegnamenti ed emozioni.