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INTER SUL TETTO D'EUROPA: IL SOGNO CHE DIVENTA REALTà

La 'notte magica' dei tifosi in piazza Rossetti

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Aspetto ancora che qualcuno mi svegli, che mi butti un secchio d’acqua e che mi riporti alla realtà. Aspetto invano, non si tratta di un sogno, è successo veramente. Dopo più di quarant’anni l’Inter è diventata campione d’Europa e, come la maggior parte dei tifosi neroazzurri, stento ancora a crederci e non mi sembra ancora vero di poter cantare a squarciagola: «Siamo noi! Siamo noi! I campioni dell’ Europa siamo noi! Siamo noi! Siamo noi!». Chi, come il vostro scriba, era a Roma il famoso 5 maggio del 2002, chi si porta dietro le prese in giro e i segni delle delusioni cocenti degli ultimi vent’anni, sa bene che cantare questo ritornello è un vero e proprio orgasmo. Essere campioni d’Europa per gli interisti significa qualcosa di più, significa aver vinto non solo un trofeo, ma aver vinto come uomini, che di questa squadra hanno fatto una vera e propria fede, messa alla dura prova in tante occasioni, che mai come ora ha dimostrato di valere la pena di essere seguita fino in fondo, contro tutti e contro tutto. Quante volte mi sono sentito dire che sarei finito come mio padre, che solo da piccolissimo ha potuto godere dei trionfi europei dell’allora Ambrosiana Inter, che le immagini di giocatori neroazzurri con la coppa dalle grandi orecchie fra le mani le avrei potute vedere solo in bianco e nero, che sarei stato un sognatore, un utopista a pensare che nel presente le cose sarebbero potute andare diversamente. Ebbene quelle persone si sono sbagliate, l’Inter non è più quella spendacciona di dieci anni fa, è cresciuta, ha trovato una sua dimensione, è una macchina quasi perfetta, che ha dimostrato al mondo intero che la storia di una squadra, come quella di una vita, può essere riscritta. E’ la vittoria di Massimo Moratti, un uomo che ha inseguito per una vita il sogno di costruire un’Inter vincente come quella del padre Angelo, uno che non ha mai badato a spese, uno che dell’Inter è primo tifoso più che presidente. E’ la vittoria di Javier Zanetti, una delle ultime bandiere rimaste. E’ la vittoria di Mou, uno che fa oro di tutto quello che tocca, leader a cui la nostra Italia litigiosa, polemica non piace. E’ la vittoria di Giacinto Facchetti e di Peppino Prisco, due emblemi della storia neroazzurra che avrebbero tanto voluto vedere e toccare da vicino, a distanza di quasi mezzo secolo, la coppa dalle grandi orecchie. Ma è la vittoria di tutti quelli che credono che il calcio, lo sport in generale, sia un momento di condivisone di gioie e dolori con il prossimo, portatore di valori sani come altruismo, generosità, sacrificio, dove la vittoria sia un momento di aggregazione composta nelle piazze dove tutti, anche i meno fortunati, si sentono campioni. Proprio come sabato sera nella nostra Vasto, a Piazza Rossetti, dove l’inno della Pazza Inter è stato ascoltato e cantato ininterrottamente a squarciagola per tutta la notte, sorrisi spensierati, volti felici, grandi e piccoli, uomini e donne uniti da due colori, da una passione per una squadra. Quelle voci, le nostre voci, si sentiranno per sempre. Con la speranza di tornare molto presto ad animare la nostra piazza per la vittoria di un'altra squadra, che di colori ne ha solo uno...
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