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34 anni fa Giovanni Paolo II ha stretto la mano a Biagio

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A noi cristiani viene spesso chiesto “siate santi”. Nel nostro vivere quotidiano questa richiesta ci sembra impossibile da realizzare. Ma il fatto che tanti sansalvesi hanno stretto le mani di “persone in carne ossa” come Giovanni Paolo II che aveva conosciuto il dolore e il sacrificio e vivevano una vita per certi aspetti normali, può lasciare spazio all’idea che la santità possa diventare una vocazione di tutti gli uomini e le donne della terra.

In una bellissima giornata di sole, il 19 marzo del 1983, nel giorno dedicato a San Giuseppe patrono dei lavoratori, Giovanni Paolo II è venuto a incontrare le maestranze della Magneti Marelli e della Siv di San Salvo. Tra le tantissime mani che ha stretto in quel giorno c’erano anche quelle di Biagio Savini, un operaio dell’allora Magneti Marelli. Di seguito l’intervista a Biagio.

Quali sono le tue origini e come sei arrivato a lavorare a San Salvo?

Io sono originario di San Giovanni Rotondo, il paese di Padre Pio. Quando ero ragazzo ho seguito un corso triennale di meccanica e dopo questo corso sono andato a lavorare prima a Milano e poi alla Rabbotti Marelli di Torino. Dopo gli anni settanta la dirigenza ha trasferito una parte delle maestranze qui a San Salvo. Io sono stato in uno degli ultimi scaglioni a essere trasferito. Sono arrivato qui il 24 aprile del 1972 quando la Magneti Marelli contava oltre duemila dipendenti. Io ero un addetto specializzato alla manutenzione.

Cosa ricordi di San Salvo di allora?

Era piccolissima e anche mia moglie all’inizio ha fatto fatica ad ambientarsi. San Giovanni Rotondo contava 20.000 abitanti. Era passata dalla cittadina al piccolo paesino dove non c’era assolutamente niente. Figurati noi abitavamo nei pressi della chiesetta della Madonna Delle Grazie e lì era aperta campagna. All’inizio tutti i fine settimana ce ne tornavamo al paese. Ma poi abbiamo cominciato ad apprezzare questo posto e ci siamo ben ambientati e trovati davvero bene.

Com’era l’ambiente di lavoro?

Ci conoscevamo tutti. Anche se in tanti eravamo abbastanza uniti e avevamo l’idea di dover portare avanti la fabbrica con il nostro lavoro. Era anche il periodo degli scioperi, non sempre con motivazioni davvero validi. A volte si faceva sciopero anche solo per una lampadina! Sapevamo che dovevamo fare la produzione e non ci dovevamo mai far vedere fermi dai capi ma avevamo comunque il tempo per scambiare qualche chiacchiera e prenderci un caffè. Oggi so che molte cose sono cambiate e non tutte in positivo.

Cosa ricordi del giorno in cui Giovanni Paolo II è venuto a visitare la fabbrica e come sei riuscito a stringergli la mano?

Quel giorno eravamo tutti in tuta ma i macchinari erano fermi, persino il forno. Eravamo tutti molto ma molto emozionati. Ricordo che gli impiegati avevano preparato una sorta di tavolata ma il papa ha detto “andiamo verso le officine”. Tutti di quel giorno ricordano soprattutto il suo sorriso. Avevo in mente di dirgli di pregare per la santificazione di Padre Pio a cui anche lui era moto legato. In qualche modo cercavo di seguirlo per incrociare lo sguardo, dirgli qualcosa o riuscire a stringergli la mano ma eravamo tantissimi ed era impossibile. Verso la fine della visita mi sono ritrovato quando eravamo in pochi e stavamo in una specie di strettoia con il muro del forno spento alle spalle, sono riuscito ad avvicinarlo, ci siamo guardati negli occhi e mi ha sorriso. Non sono riuscito a dire una parola ma il papa stesso nel frattempo che ci stavamo stringendo le mani, ha chiesto al fotografo del Vaticano che lo seguiva passo passo, di scattarci una foto. Al ritorno a casa non ci stavo nella pelle per la gioia di quel momento. Il giorno dopo in fabbrica non facevamo altro che commentare il fatto che il papa aveva preferito noi operai agli “altilocati” della fabbrica.

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