Oltre la storia di come nasce un piatto, un dolce o ogni altro prodotto derivante da mondo dell’enogastronomia, ogni ricetta ha anche un’altra storia. Quella di quando, chi e come fornisce la ricetta.
Sono sempre stata molto golosa, ma un dono che mia mia madre non aveva era quello di fare i dolci. Gli unici dolci che facevano era qualche dolce fritto, le ferratelle e il pan di spagna sotto la coppa, ossia tutti dolci per cui non occorreva il forno. La mia golosità così mi spinse già all’età di tredici anni a chiedere ricette e poi cimentarmi nella loro elaborazione. Nel periodo dell’ università , per scaricare la mia tensione, due giorni prima dell’esame, trascorrevo la giornata a fare solo dolci e spesso volentieri erano tarallucci di vino, banane, bocconotti vastesi e altri dolci a base di mandole, che erano e sono i miei dolci preferiti.
Sempre all’età di quindici anni non c’era negozio che non aveva nei suoi scaffali almeno una scatola con il parrozzo. Vedere quella grossa cupola tutta ricoperta di cioccolato mi sembrava chissà che cosa. Non avevo la curiosità di assaggiarlo perché pensavo che la versione industriale di quel dolce che aveva tutta una sua storia non avrebbe mai reso l’idea di quello che era un dolce appena fatto in pasticceria o in casa.
Un giorno io e mia mamma ci incamminammo per andare a trovare degli zii di mia mamma (zia Lina e zio Domenico) che abitavano all’ingresso di Vasto della provinciale dal lato di San Salvo. Erano originari di Tornareccio e si erano traferiti qui per lavoro nel periodo della Siv. Lei era ed è una di quelle donne di una volta con le mani d’oro.
Quel giorno era a ridosso dell’Immacolata che annuncia il Natale e lei ci aveva offerto quel dolce che per me era pieno di mistero: il parrozzo.
Non potevo non chiederle la ricetta. È un dolce che se fatto con la ricetta originale non sempre riesce poiché tende a colorarsi subito sopra e restare crudo dentro. Il segreto è una lunga cottura prima a 170° e poi anche 150° o meno in base alla potenza del proprio forno, finchè, poggiando la mano sopra si ha quella sensazione di asciutto. Spesso per evitare questi inconvenienti, se non si riesce a trovare la giusta tecnica di cottura in base al proprio forno, la soluzione più semplice è quella di sostituire il semolino con la farina oppure mischiare questi ingredienti o aggiungere una bustina di lievito.
Ecco la ricetta di zia Lina. Ingredienti: 200 grammi di mandorle abbrustolite senza spellare e ridotte a polvere finissima, 250 grammi di zucchero, 150 grammi di semolino, 6 uova, mezzo bicchierino di Contreau o Rhum e la buccia di un limone, farina e olio per ungere, 250 grammi di cioccolato fondente e 7 cucchiai d’olio (oliva o semi a seconda dei gusti).
Preparazione. Si mischiano tutte le polveri e si montano a neve ben ferma le uova e poi si aggiungono gradualmente le polveri con quel classico movimento dal basso verso l’alto. Si unge e si infarina l’apposita cupola e vi si versa il composto.
Si procede con la cottura in forno prima a 170° e quando si comincia a indorare la superficie si abbassa la temperatura a 150 gradi fino alla prova stecchino asciutto.
Quando si raffredda si mette a bagno maria cioccolato e olio e quando questi sono ben amalgamati si procede con la copertura completa del dolce.
Foto di Carmelita Cianci