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“La citila” è tornata: Lorenza Natarella presenta “Sempre libera”, biografia a fumetti su Maria Callas

Intervista all’artista “metà vastese e metà lancianese”, di scena alla libreria Mondadori con la sua prima graphic novel

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Nelle vene di Lorenza Natarella scorre sangue vastese e lancianese, evidentemente misto a una buona dose di inchiostro di china. Leggendo “La citila”, la sua gustosissima autobiografia a fumetti che ripercorre gli anni spensierati della sua infanzia, si capiva già dalla tenera età che sarebbe diventata «una delle artiste emergenti più promettenti della scena italiana», i cui lavori avrebbero poi trovato spazio, tra gli altri, nei prodotti editoriali di Salani, Donna Moderna, De Agostini Scuola, La Gazzetta dello Sport, La Stampa e Linus.

All’esplosione e alla costruzione del suo notevole talento, infatti, hanno senz’altro contribuito il suo «cervello assortito» composto dall’«emisfero sinistro di mamma Margherita e da quello destro di papà Antonino», le interminabili pile di agende da colorare fornite da nonna Rosanna, gli «intrattenimenti estremi» con il cugino Luigi passati (anche) a scarabocchiarsi a vicenda, la fatale scoperta dei colori a dita all’asilo e le «cicatrici a pennarello» inferte alle Barbie mutilate e fatte a fettine «per mettere in chiaro alle cugine che erano tutte sue».

Più o meno 25 anni dopo, la terribile enfant prodige lancianese appare decisamente più quieta e cresciuta, anche se c’è da dire che la sua condizione di «citilanza» persiste soprattutto nei pensieri della nonna, che tutt’oggi continua a chiamarla con il simpatico appellativo dialettale. Stabilitasi da dieci anni a Milano, dove è riuscita a fare della sua passione un lavoro fondando lo studio di grafica e illustrazione “Armad’illo” insieme ad «altri suoi nove simili», ieri Lorenza Natarella è ritornata in terra natia per promuovere alla libreria Mondadori di Vasto “Sempre libera”, la sua graphic novel sulla vita di Maria Callas, pubblicata a 40 anni dalla scomparsa della Divina ed edita da BAO Publishing. Un romanzo a fumetti che racconta grandezze e fragilità della soprano attraverso uno stile visuale originale, elegante ed efficacemente esagerato e una narrazione appassionata, colta e minuziosa, che non cede neanche per un istante al freddo didascalismo tipico di molte biografie, ma che invece rimane costantemente sospesa tra dramma e ironia.

Perché hai scelto di illustrare la vita di Maria Callas?

«Dopo “La citila”, volevo realizzare un libro più corposo, una fiction, una storia da scrivere di mio pugno. La lettura della biografia di Camilla Cederna sulla Callas mi ha sconvolto, mi ha davvero "presa a sberle". Conoscevo soltanto due cose su di lei: la leggenda della tenia e la sua storia con Onassis. Leggendola, sentivo che la sua storia era già mia. La Cederna, con la sua cruda e isterica biografia, aveva dimostrato che la sua aura intoccabile in realtà poteva essere toccata eccome».

E il titolo “Sempre libera”?

«Il titolo è un’aria de “La Traviata”, nella quale la protagonista Violetta cerca di sottrarsi al proprio destino prestabilito di cortigiana per vivere la sua vita ed essere indipendente. È una metafora della sua esistenza, dato che la storia di Violetta e quella della Callas sono parallele. Quest’aria, inoltre, è la chiave del libro, e quindi è anch’essa una protagonista».

Quale punto di vista hai adottato?

«La prima versione di questo libro era molto agiografica. Avevo buttato giù una trentina di pagine, ma non mi piacevano per nulla. Alla fine, però, mi sono servite a capire come non dovevo scrivere questo romanzo: fino a quel momento avevo avuto l’impressione di aver fatto soltanto un compito da brava scolaretta. Invece mi sono resa conto che se volevo parlare a tutti, dovevo essere veramente efficace. Perciò mi sono chiesta: “Per catturare l’attenzione di una persona che non sa nulla di Maria Callas, cosa le direi?”. Che è stata una donna che ha “fatto il botto”, in tutti i sensi. E quindi ho scelto di partire proprio dal “botto”, ovvero dal suo licenziamento».

Leggendo la tua graphic novel, si capisce che la fase di documentazione è stata imponente come quella di realizzazione.

«Sì, il lavoro di documentazione è stato notevole. Ho ascoltato anche tantissima musica, dato che non ero una grandissima conoscitrice di opera. Mi sono addirittura scoperta una grande fan dei libretti d’opera, che sono una letteratura a parte. Ho anche comprato tanti saggi sull’argomento, ne sono rimasta folgorata».

Hai deciso di fare la stesura di questo romanzo non a Milano, ma nei tuoi luoghi del cuore Vasto e Lanciano. Come mai?

«La primissima in realtà l’avevo buttata giù a Milano. Poi mi ero resa conto che avevo bisogno di un certo tipo di spazio mentale che la grande città non poteva garantirmi. Perciò avevo deciso di tornare in Abruzzo per vivere nel totale isolamento, comunicando con gli altri soltanto per lo stretto indispensabile. Passavo ore sul Belvedere a sentire i discorsi degli anziani perché non volevo assolutamente avere contatti col mondo (ride, ndr)».

Ti rivedi un po’ nel carattere della Callas?

« Mi sono identificata fin troppo in lei. Sono altrettanto scrupolosa nel mio lavoro, mi reputo un vero e proprio “soldato”. E in comune abbiamo anche una certa fragilità».

Come mai hai utilizzato soltanto il rosa e il nero? In una recensione su Badcomics.it si dice che «la prevalenza di una tinta sull’altra determina gli umori di un equilibrio umano mai raggiunto». Era questa la tua intenzione?

«Indubbiamente. Avevo preso questa decisione a monte, prima della stesura, perché dovevo darmi dei limiti. Ho sempre bisogno di confini per rendere al meglio. Avevo deciso che questo libro doveva essere asciutto ed elegante, ma che doveva anche essere una storia molto “matta”. In questo caso ho optato per il nero e un rosa bollente, colori fortemente simbolici: il primo rappresenta il lato cupo e gli abissi più insondabili della Callas, il secondo invece l’aspetto più istrionico e spettacolare».

L’idea della divertente autobiografia “La citila”, invece, da dove nasce?

«Una mia collega doveva scrivere un racconto per la collana “Anni in tasca” dei Topipittori, la casa editrice di questo mio primo lavoro. Era una collana a cui ambivo tantissimo: non avevo ancora deciso che nella vita volevo disegnare i fumetti, ma sapevo che volevo scrivere un’autobiografia. Questa cosa di raccontare la mia vita ce l’avevo in canna da un bel po’, perciò quando l’hanno proposta a me sono stata felicissima. Ho scritto “La citila” in soli tre mesi proprio perché l’avevo pronta da tempo».

Quando eri una “citila” di 5 anni, a proposito, dicevi che volevi fare «per metà settimana la pittrice, per l’altra metà la veterinaria».  Qualche anno dopo è ormai chiaro a tutti che cos’hai scelto di fare, dato che ti ritrovi «a scrivere e disegnare 7 giorni su 7».

«E anche a piangere 7 giorni su 7 (ride, ndr). Questo lavoro non l’ho scelto io, piuttosto è stato lui a scegliere me. Durante il mio percorso di studi, ogni volta che decidevo di fare una cosa puntualmente ne facevo un’altra. E quindi mi sono detta: “Ok, se ho questa passione per raccontare, scrivere e disegnare, la asseconderò”. Devo dire che per ora sta andando tutto bene».

Anche se alla fine non sei diventata una veterinaria, con gli animali continui ad avere un rapporto piuttosto particolare, soprattutto da un punto di vista onomastico. Ne sanno qualcosa Nicolino, il tuo pappagallino blu quasi divorato dalla gatta Sissi, e la lunga sfilza di felini da te posseduti, tra cui compaiono Cellulite, Porcio e Porcessa e l’ultimo arrivato Scrofini.

«Sono una gattara convinta, mi sfogo anche così. D’altronde, perché un gatto deve avere un nome comune? È un esercizio di scrittura anche questo»

Chiunque sia venuto a conoscenza delle tue origini, ti ha chiesto: «Ma zitta-zitta preferisci Lanciano o Vasto?». Una domanda che ha sempre avuto una sola risposta: «Nel mezzo si sta da Dio». Confermi o vuoi finalmente sbilanciarti a favore della cara Histonium?

«No, confermo. E ti dico che voglio tanto bene all’Abruzzo e che l’apprezzo ancora di più da quando me ne sono andata».

Progetti per il futuro?

«Mi auguro di continuare a scrivere storie matte e vere. La mia biografia su Maria Callas mi ha fatto capire che non c’è sempre bisogno di inventare, ma che tutte le realtà sono preziose e meritano di essere raccontate. Ho un sogno: quello di scrivere le storie dei miei nonni e dei miei antenati. Chissà che non trovi ancora una volta il modo di renderle disponibili agli altri».

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