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“I ragazzi sanno riconoscere gli insegnanti che amano il loro lavoro”

La sfida educativa dei nostri tempi illustrata da mons. Forte ieri a Vasto

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Giovedì 4 maggio, presso l’auditorium per l’Agenzia per la Promozione Culturale in via Michetti 63 a Vasto, mons. Bruno Forte  ha tenuto una conferenza dal titolo “Le trasformazioni del post-moderno e la sfida educativa”.

È stata la quarta ed ultima conferenza del ciclo sulla scuola italiana organizzata (sotto il titolo di “Società liquida, scuola gassosa”) dall’Associazione civica Porta Nuova e dalla sezione di Italia Nostra del Vastese.

I lavori sono stati aperti dal professor Michele Celenza che, pur definendosi ateo, ha sottolineato il fatto che la scuola e la Chiesa hanno molte cose in comune e che entrambe stanno vivendo un periodo di crisi. Mons. Bruno è stato chiamato non in qualità di Vescovo ma come teologo.

La prima parte del discorso di Bruno Forte conteneva una lettura critica dell’era moderna incentrata su una presunta emancipazione e sulla massificazione.

“Ognuno di noi o è orientato verso la morte o è un uomo mendicante del cielo”.

Nella seconda parte, con toni molto pacati, ha evidenziato una responsabilità degli insegnanti nell’essere protagonisti di una sfida educativa in cui i ragazzi siano spinti a farsi delle domande e ad acquisire il senso dello stupore e la curiosità per ciò che li circonda.

Un educatore che ripete una lezione sempre allo stesso modo anche per venti anni è segno di chi non si aggiorna, non è disponibile a rimettersi in gioco e a spendere del tempo per i propri studenti. E questo perché loro stessi hanno perso il senso della novità. Spesso si trascinano semplicemente in attesa dello stipendio a fine mese.

I ragazzi avvertono quando un’insegnante li ama e spende del tempo per loro. Chi fa bene questo lavoro non si mette semplicemente in cattedra ma oltre a trasmettere la passione per ciò che insegna, riesce a instaurare con loro un rapporto interpersonale che li porta a essere curiosi e a farsi delle domande sul senso della vita. Bisogna suscitare in loro il senso della "speranza senza fine".

 

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