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COSTA E CEMENTO, E' ALLARME

a cura della redazione
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Un metro di spiaggia e poi un metro di cemento, cento centimetri di scogli e altri cento di asfalto. E' il drammatico destino delle coste del Mediterraneo da qui ai prossimi venti anni se i 21 paesi che si affacciano sul vecchio Mare Nostrum non cambieranno drasticamente i loro comportamenti, imboccando in maniera decisa la strada dello sviluppo sostenibile. A lanciare l'allarme è l'Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, che ha creato un'apposita sezione, la Map (Mediterranean action plan), per la tutela del Mediterraneo. Il Blue Plan, il dossier realizzato dall'organizzazione per fotografare lo stato di salute ambientale delle coste mediterranee e i rischi ai quali vanno incontro, è stato presentato a Roma in occasione dell'apertura di Park Life, il ''Salone dei parchi e del vivere naturale'', arricchito con molti dati raccolti da Legambiente attraverso le sue campagne ambientaliste. Il quadro è a tinte fosche, anche se il coordinatore del progetto, il maltese Paul Mifsud, si è premurato di precisare che ''comunque negli ultimi 15-20 anni moltissimo è stato fatto''. Le minacce per il Mediterraneo, uno dei 25 hotspots mondiali per la biodiversità, si chiamano cemento, traffico marittimo, sovrappopolamento, turismo di massa. ''Attualmente - si legge nel dossier dell'Unep - il cemento sottrae alla natura il 40 per cento dei litorali dove vive il 7% di tutte le specie marine mondiali. Ma questa cifra è destinata a crescere: entro il 2025 oltre il 50% delle coste sarà cementificato''. Si tratterebbe dell'inevitabile risultato della pressione demografica che in riva al mare ogni anno cresce a un tasso dell'1 per cento. ''E' facile immaginare - prevede ancora il Blue Plan - che la popolazione che abita le città costiere raggiunga la cifra di 90 milioni di abitanti entro il 2025 rispetto ai 70 milioni registrati nel 2000''. A farne le spese non sarebbe ovviamente solo il piacere romantico di una passeggiata a piedi nudi sul bagnasciuga. L'Unep, oltre a temere gravissime ripercussioni ambientali, soprattutto sulle fragili e fondamentali zone umide presenti in corrispondenza con i grandi estuari dei fiumi, quantifica il danno in termini monetari. ''Il valore strettamente economico di questi ambienti - ricorda il dossier - è di gran lunga superiore a quello di laghi, fiumi, foreste e praterie e può arrivare ai 2,4 milioni di euro per chilometro quadrato''. Altro problema sarebbe poi quello legato all'erosione delle coste, da un lato minacciate dall'innalzamento dei mari dovuto al riscaldamento globale, dall'altro sempre meno rifornite di sedimenti di origine fluviale. ''La cementificazione del letto di fiumi e torrenti assieme alla costruzione di dighe e la deviazione artificiale dei corsi d'acqua - denuncia ancora il Blue Plan - ha infatti diminuito del 90 per cento la quantità di sedimento che raggiunge il mare negli ultimi 50 anni''. Il dossier, realizzato in occasione del trentennale della Convenzione di Barcellona, primo tentativo di collaborazione internazionale per la salvaguardia del Mediterraneo, cerca anche di proporre delle linee di azione per invertire la rotta. La parola magica è naturalmente ''sviluppo sostenibile'', con tutto il suo corollario di scelte nella gestione del territorio, nello sfruttamento delle risorse idriche, nella valorizzazione dell'eco-turismo, nelle scelte strategiche in materia di trasporti. L'Unep spera di imporlo ai 21 paesi che si affacciano sul Mediterraneo attraverso una rete sempre più vincolante di Protocolli. Sei di questi già esistono, ma il più importante deve ancora vedere la luce. Entro il 2007 dovrebbe essere fissato infatti uno stringente quadro normativo, che si spera gli Stati vogliano assumere anche come vincolo legale, per fissare i criteri di sfruttamento del territorio costiero. Una materia nella quale una volta tanto l'Italia (o per meglio dire una sua regione) è all'avanguardia, visto che uno dei modelli ai quali questo Protocollo potrebbe ispirarsi è la legge varata recentemente dalla giunta regionale della Sardegna per tutelare le sue coste dallo sfruttamento edilizio.
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