Mancano ormai pochi giorni alla fine di un agosto rovente, non solo per le temperature. Tra i tanti argomenti che hanno animato il dibattito, o supposto tale, nazionale le Olimpiadi e le visite nelle carceri italiane. In piena estate i drammi “dietro le sbarre” non si fermano e, anzi, si acuiscono. Associazioni, volontari, attivisti per i diritti umani, esponenti delle istituzioni anche in questo periodo dell’anno entrano nelle carceri per documentare la situazione ed incontrano detenuti e personale.
Voci di Dentro, associazione attiva nelle province di Chieti e Pescara che pubblica una rivista periodica omonima, da tanti anni porta avanti l’impegno di difesa dei diritti umani e di volontariato nelle carceri del nostro territorio. Cercando anche di intervenire nel dibattito sociale e culturale troppo spesso impregnato di pregiudizi e letture distorte di uno spaccato della società sconosciuto ai più. Intervenendo anche su temi, locali e nazionali, che vanno oltre le mura del carcere. In questi giorni l’associazione ha pubblicato una riflessione sul murales dedicato alla campionessa olimpica Paola Egonu vandalizzato e sulle polemiche intorno alle dichiarazioni del sottosegretario Del Mastro dopo la visita in due istituti penitenziari.
In queste ore leggiamo molte considerazioni a proposito della visita in due carceri del Sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro.
Dopo il murales vandalizzato dedicato a Paola Egonu, ecco che passiamo a un altro caso che, a quanto si legge, sono in tanti a definire di cultura/sottocultura della discriminazione.
Là erano le differenze di colore della pelle, sgradevoli a chi ha colorato di rosa la pallavolista italiana. Ora sono le differenze “di condizione e di stato”, che pare infastidiscano un “servitore dello Stato” che ha voluto far visita solo ad altri “servitori dello Stato”, come gli agenti di Polizia Penitenziaria nelle carceri di Brindisi e Taranto in cui, con licenza di fumo (un ministro ferma un treno, un sottosegretario si fa fotografare mentre fuma con il cartello Vietato fumare) l’On. Delmastro si è recato, non volendo però - come avrebbe dichiarato - “inchinarsi alla Mecca dei detenuti”.
Questi episodi lasceranno la scia e il posto presto ad un altro. E un altro ancora. Purtroppo.
Viviamo in tempi - sempre a detta dei commenti ai fatti - di piccole e miserabili ostentazioni di subculturale disumanità.
Però umanità e cultura notiamo proprio dalle retrovie di altri commenti esistono, e vanno a rincuorarci quelli autorevoli.
Per esempio quello che scrive il Prof. Marco Ruotolo in un suo ultimo post, citando Valerio Onida, che fu giudice costituzionale.
Riprendiamo qui una parte di citazioni e sue osservazioni:
«Pur con tutte le difficoltà che le situazioni di fatto possono offrire, è essenziale mantenere chiaro – e battersi per attuarlo – il principio per cui il carcere non deve essere luogo di sopraffazione o di degradazione della personalità, ma luogo in cui persone, rispettate come tali, scontano una pena legalmente inflitta, sono messe in grado di cercare e di percorrere la via del loro riscatto e del loro reingresso nella comunità dei liberi. È necessario, prima di tutto, crederci. La legalità, e la cultura della legalità, sono una premessa perché ciò possa avvenire» (Valerio Onida, Carcere e legalità, in Dignitas, n. 11/12, 2002, p. 20).”
(…) oggi, l’On. Andrea Delmastro Delle Vedove, da sottosegretario al Ministero della Giustizia, ha scelto di limitare la sua “visita” in due istituti penitenziari pugliesi ad un dialogo con il personale, perché confrontarsi anche con le persone detenute avrebbe significato inchinarsi a “La Mecca dei detenuti”.
Le regole vanno rispettate da tutti, a partire da chi è chiamato a farle rispettare, essendo altrimenti difficile pensare che il carcere possa servire a “rieducare”. L’essere “luogo della legalità” è, appunto, premessa perché possa davvero compiersi quel percorso di riscatto e di reingresso nella comunità dei liberi del quale scriveva Valerio Onida, invitando tutti a crederci realmente.”
Ecco: “persone rispettate come tali”.
Noi ci limitiamo a ricordare quanto ha fatto Papa Francesco, e non una sola volta, inginocchiandosi (lui sì) e lavando i piedi a detenuti e detenute. Perché è nei gesti che - se si crede - si è veramente “cristiani”, non dichiarandosi solo tali, ad alta voce.
Ma, umiltà cristiana a parte (perché cristiani possiamo non essere tutti ma persone degne, sì ), c’è quel tetto, laico, di diritti che ci copre tutti, senza differenze, anche di religione e molte altre, perché tutti possiamo, e dobbiamo essere, rispettati: UGUALI come persone, appunto, umane. E quel tetto è la nostra Costituzione. È l’articolo 3, il famoso principio di uguaglianza, che sancisce la pari dignità… “senza distinzione di condizioni personali e sociali”. E la reclusione è proprio una differenza di condizione personale e sociale (la privazione della libertà) che non toglie e mai dovrebbe togliere l’eguale dignità di ognuno.
Un tetto o “quello scudo” che ci protegge dalle sopraffazioni, come ha detto proprio una detenuta in occasione del viaggio dei giudici della Corte Costituzionale nelle carceri (loro sì, pure, li hanno voluti incontrare i detenuti) nel 2019.
Dunque non solo perché il carcere è un luogo “plurale e complesso” (Antigone), o perché è e sarebbe stato adeguato al ruolo istituzionale di un Sottosegretario al Ministero della Giustizia confrontarsi con custodi e custoditi dallo Stato e dello Stato che lui rappresenta.
Non solo perché il carcere adesso è sui giornali un giorno sì e l’altro pure, perché sono già 67 i suicidi.
Non solo perché il sovraffollamento non è l’unico problema, ma comunque un problema da risolvere, se non si vuole di nuovo essere condannati per pene disumane e degradanti al limite della tortura.
Semplicemente, perché basterebbe ricordarla la nostra Costituzione Italiana, con il suo art. 3.
Quella Costituzione su cui anche i Sottosegretari prestano giuramento.