Non solo esperti del settore ma anche insegnanti, studenti, cittadini della comunità e ragazzi erano presenti ieri, 7 febbraio, al convegno “Storia di una “Sibling” di nomeDiana” tenutosi presso la sala consiliare del Palazzo municipale di Cupello a partire dalle 18:30: un evento organizzato dall’Associazione Emily Abruzzo in collaborazione con il Comune di Cupello.
Una collaborazione alla pari tra i due Enti “protagonisti” che, supportati dai Servizi Sociali del Comune, grazie al vigente Protocollo in essere, si rivela come sempre vincente nel raggiungimento dei propri obiettivi, primo tra tutti la sensibilizzazione verso temi quali quelli del bullismo e del cyberbullismo, parole più che mai “chiave” oggi che ricorre il Safer Internet Day.
E ciò viene fatto in primis dando, a chiunque assista a eventi come quello svoltosi ieri, la possibilità di entrare in contatto, conoscere, ascoltare e “vivere” - per quanto possibile - le esperienze vissute dalle vittime. Lo è stato il 25 novembre con la testimonianza di Filomena Lamberti giunta nel comune cupellese in occasione della Giornata contro la Violenza sulle donne, e lo è stato ieri con quella della giovane testimonial Diana Gini. E ancora la stessa emozione, lo stesso sconcerto, gli stessi “pugni nello stomaco” hanno preso il sopravvento nelle due ore in cui si è svolto il convegno. Un convegno che trova forza e potenza nella continuità – ricercata costantemente da Emily Abruzzo – tra l’azione e la testimonianza, per far sì che, attraverso la storia raccontata dalla viva voce degli ospiti, chi ascolta capisca che “la violenza di cui si parla è reale ed esiste”, come ci aveva detto la Presidente dell’associazione Teresa Di Santo alcuni giorni prima dell’evento.
Ma accanto all’emozione, allo sconcerto e allo sgomento, ieri sono state altrettanto, se non più forti, anche i sentimenti di rivincita, di rinascita,di speranza e di motivazione perché quello che lascia l’ascolto della storia di questa giovane ragazza, solo all’apparenza fragile, è proprio la sua convinzione, la sua motivazione, la sua calma nella consapevolezza di quello che sadi essere e delle sue qualità. E sembra quasi impossibile pensare che la stessa ragazza, anzibambina,abbia subito le violenze che ha raccontato.
Una violenza iniziata sin dalla scuola primaria, quando lei aveva appena 5 anni e mezzo, e continuata poi fino a quando la sua forza ma soprattutto quella della madre, anche lei presente alla conferenza, ha fatto sì che quel susseguirsi di soprusi, in cui i “cattivi” erano sia quelle persone in realtà chiamate a proteggerla, le maestre, che i compagni e le compagne, si interrompesse. Violenze verbali (per via della sorella maggiore disabile, Diletta, che lei accudiva amorevolmente e costantemente, senza mai nascondere a nessuno) che presto sono diventate fisiche - ma fortunatamente non sfociate in tragedia - quando una compagna, dopo aver rinchiuso Diana in bagno, l’ha minacciata di morte con un taglierino. Evento traumatico questo che, come spesso accade, ha fatto scattare qualcosa e ha permesso il cambio di rotta, in questo caso positivo, nella storia di questa giovane ragazza romana. È a questo punto infatti che Diana decide di raccontare davvero tutto, di cacciare fuori tutto quello che portava dentro, di dar voce a quel dolore che col passare del tempo si è manifestato sotto forma di bulimia e trauma da contatto: “Non riuscivo a toccare nessuno e appena lo facevo mi veniva da vomitare” ha raccontato infatti alla platea attenta.
Quindi, finalmente quel dolore che prima si manifestava in quel modo, riesce a manifestarsi come forza di volontà per reagire a quella situazione che ormai era diventata “abitudine” e “consuetudine”. Un dolore che ha dovuto scontrarsi con l’indifferenza di insegnanti che, alla vista della prova tangibile dell’aggressione (il cappotto di Diana tagliato in due pezzi), hanno risposto dicendo di “non essere esperti in cucito”; un dolore che è diventato “sangue freddo” di una madre decisa a mettere fine a tutto quello che era stato, “costringendo” la figlia a iniziare una “seconda vita” in una nuova scuola media.
E da lì la rinascita e la forza di questa ragazza che vede “un’altra normalità”, una normalità fatta di saluti, sorrisi e non di insulti. Una normalità che le ha permesso, man mano, di diventare voce di coloro che come lei hanno subito le stesse violenze e che le ha fatto capire quanto sia importante parlare di bullismo, di bullizzati e anche dei bulli. Persone, queste ultime che lei non definisce mai “cattive” ma “persone che non riescono ad andare oltre uno standard e che per questo soffrono un loro personale malessere”. Quindi inizia la sua attività di sensibilizzazione verso i compagni di classe e poi di tutto l’istituto fino a diventare membro della Consulta Provinciale degli Studenti, una sorta di rappresentante d’istituto sui temi delle Pari Opportunità.
La storia e la forza di Diana trovano riscontro e ulteriore vigore in quella di uno dei relatori presenti in video collegamento all’incontro: Michele Matti Altadonna, Rappresentante e Coordinatore nazionale dei giovani UnAVi (Unione Nazionale Vittime – associazione in sostegno delle persone vittime di episodi di violenza) che, esattamente come la giovane testimonial, da vittima di bullismo sin dagli anni delle elementari per diversi motivi, è riuscito a “farsi le spalle larghe” e a capire che vittime sono sia i bullizzati che gli stessi bulli. Con la stessa forza e convinzione dà voce alle sue idee, alle sue emozioni, ai suoi propositi e ai suoi obiettivi come membro dell’unione Nazionale Vittime, sottolineando il suo impegno nella “costruzione” di sportelli per l’assistenza psicologica all’interno delle scuole che permettano anche e soprattutto di prevenire, oltre che di aiutare.
Un obiettivo che ci auguriamo possa quanto mai essere raggiunto nella totalità delle scuole perché è importante che tutti intervengano e collaborino per evitare che storie come quelle di Diana e di molti altri giovani – storie che spesso finiscono in tragedia vera – continuino a ripetersi, ancor di più nei tempi attuali in cui si è maggiormente diffuso il cyberbullismo, in cui “malvagi leoni da tastiera”, ma non solo, danno sfogo ai propri limiti per colpire altre persone.
A “far da scudo” ai racconti dei due ragazzi, gli altri esperti presenti in video collegamento: l’Avv. Alessandro Continiello, Vice Presidente UNAVi, che con il suo intervento ha sottolineato quanto sarebbe importante una revisione a livello normativo delle leggi in materia per colpire oltre che i giovani bulli anche coloro che rimangono indifferenti e non agiscono pur sapendo ed essendo stati testimoni di eventuali episodi di violenza, parere condiviso da Valentina Jannacone, Coordinatore Liguria UNAVi ed esperta di comunicazione convinta dell’esistenza, purtroppo, di ragazzi “naturalmente cattivi”; a chiudere il cerchio la Presidente Nazionale UNAVi Paola Radaelli che con le sue parole fa emergere l’importanza dell’“essere d’aiuto”, di saper accogliere chiunque si rivolga all’associazione, aprendosi ai sentimenti oltre che alla storia che le vittime raccontano.
Agli interventi dei relatori citati si sono aggiunti anche quelli delle due psicologhe cupellesi Anna Cimino e Antonella Sabatini che, riportando la loro testimonianza a seguito degli incontri, tenuti nei giorni scorsi, con gli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado di Cupello, hanno espresso la vicinanza loro e degli studenti a Diana, studenti che le hanno rivolto pensieri e parole – scritti su bigliettini consegnati alla ragazza – che fanno capire quanto occasioni come queste siano importanti per educare e far crescere futuri uomini e donne all’insegna della gentilezza per prevenire forme di violenza.
Un obiettivo portato avanti con forte impegno dall’attuale Amministrazione comunale per il tramite dei Servizi Sociali che, come ha giustamente affermato l’Assessore alle Politiche Sociali Giuliana Chioli, “stanno collaborando in maniera stringente con le attività di Emily Abruzzo e hanno un ruolo specifico nella comunità”, un ruolo che serva a rafforzare tra i cittadini l’idea che “i servizi sociali non sono configurabili come “una stanza della repressione” ma come un luogo dove i nostri utenti vanno per affrontare fragilità e disagi, per mettere sul tavolo emozioni e situazioni personali e familiaridifficili, ma anche per essere riabilitati e reinseriti all’interno della comunità con inclusività e maggiore serenità”.
Insomma, "un condensato" di forze, quelle protagoniste ieri, che lavorando sinergicamente su più e diversi fronti, giorno dopo giorno, possono davvero contribuire a gettare le basi di una società futura "di valore" basata su valori giusti e veri.
La vera forza, come ribadito nell’evento, sta nel fare Rete tra Enti e Istituzioni per dare maggiore forza e voce all’operato di ciascuno.