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Scuola liquida tra incertezze e flessibilità, passione e indifferenza, coding e resilienza

Come cambia la scuola nell’era postmoderna

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La globalizzazione, le migrazioni, la multiculturalità, l’esplosione dei social, hanno trasformato il mondo contemporaneo e al tempo stesso anche la scuola che, come dice Zygmunt Bauman, uno dei maggiori sociologi del 900, è diventata liquida. Da una modernità solida concentrata soprattutto sulla trasmissione del patrimonio culturale e valoriale, assicurata da istituzioni governate da grandi apparati burocratici, rigidi e autoreferenziali, considerato e percepito come oggettivo, si è passati nella società postmoderna, ad un modello dinamico, in continua trasformazione, liquido, irreversibile, che dà sempre più spazio agli individui come consumatori anziché come produttori, dando valore alla loro soggettività. Questa evoluzione, questa liquidità porta a vivere in una situazione di incertezza che prova un allentamento dei rapporti fra le persone, tra le persone e le istituzioni. Il mondo e la scuola viene percepito come instabile, privo di solidità e ciò provoca di conseguenza un permanente senso di inquietudine e solitudine.

Non ci sono più certezze, il caos regna sovrano, la liquidità della vita, le contraddizioni continue rendono tutto complesso. In questa realtà la scuola, dice Bauman, può avere un ruolo importante per aprire alla speranza per un futuro migliore. In questo contesto la scuola non può valorizzare l’accumulazione delle conoscenze, ma deve acquisire uno stile di insegnamento “liquido”, ossia flessibile, fornendo gli strumenti per comprendere ciò che è essenziale per affrontare i problemi della contemporaneità, per incrementare la formazione critica dei cittadini, che è la garanzia della loro libertà, del «life long learning», il processo di apprendimento che dura per tutta la vita.

Accrescere la flessibilità per garantire a ciascuno la possibilità di personalizzare il più possibile il proprio percorso formativo, in una prospettiva in cui il singolo è responsabile del proprio processo di crescita personale e professionale.

Come dice Stephen Sterling, è necessaria oggi una scuola che renda capaci i ragazzi di affrontare in modo critico e creativo le difficoltà e le sfide della vita e sostenere i cambiamenti necessari per una società migliore e ad un mondo più pacifico.

Paolo Crepet, nell’ultimo libro “Passione”, sostiene che la nuova generazione non vive l’impegno, si tende ad aspettare che il problema sia risolto, non provano a risolverlo da soli, con le proprie forze e la propria creatività. Questo perché questa generazione non si è dovuta impegnare. Gli adulti di riferimento, nella famiglia, nella scuola, nella società hanno fatto di tutto per aiutarli, per supportarli sia nel fare che nel pensare. La tecnologia digitale, insieme al senso di tutela e dipendenza ha contributo al senso generale e diffuso di apatia.

Dice Crepet che educare non significa iper proteggere da fatiche e problemi, bisogna invece permettere di fare esperienze, di verificare, di crescere e utilizzare appieno le proprie capacità anche emotive.

Non si può delegare tutto ad un qualsiasi device, altrimenti anche il cervello si adeguerà ad avere meno impulsi e stimolazioni, il rischio dice Crepet è arrivare alla “demenza digitale”, ad un mondo abitato da svogliati, abulici, indolenti, pigri, apatici.

Lui afferma che l’apatia diventa una dimensione sociale negativa, portando ad un disturbo mentale pericoloso e purtroppo diffuso: l’indifferenza, l’egoismo individuale e di massa. L’apatia insieme alle emozioni quiete, all’accontentarsi pur di non fare fatica, sono uno dei rischi attuali del nostro periodo, che anche la scuola deve fronteggiare.

Ma la scuola non dovrebbe educare ad affrontare la difficoltà, i problemi, a saper vivere con resilienza?  E’ meglio un’esistenza sterilizzata e anestetizzata o una appassionata? Non deve la scuola incentivare la curiosità, la creatività, la passione?

Sam Goldstein, specialista della resilienza nei bambini, afferma che la scuola deve cambiare rotta e attivarsi nel praticare l’empatia, incoraggiare la responsabilità,  potenziare l’abitudine a prendere delle decisioni, insegnare l’ottimismo attraverso critiche costruttive. La scuola diventa così luogo della resilienza condivisa, il luogo dove dirigenti, docenti e discenti praticano l’esercizio dell’innovazione anche mediante la diffusione del pensiero computazionale, che come dice il prof. Alessandro Bogliolo aiuta a formulare pensieri complessi, offre strumenti ulteriori a supporto della fantasia e della creatività, diventa conoscenza trasversale, il meta linguaggio del futuro.

Ma non basta, la scuola liquida per rinnovarsi ha bisogno di aprirsi al territorio, promuovendo e favorendo a livello locale la progettazione di ambienti di apprendimento integrati”, attraverso il coinvolgimento degli organismi educativi e socioculturali, per mettere in sinergia le dimensioni formative. La sfida diventa così quindi quella di realizzare, sempre più, progetti di rete con didattica laboratoriale, coinvolgendo le scuole verticalmente e su campi di azione multi culturali e multidisciplinari per costruire esperienze, che esaltino il senso della cittadinanza e la proiezione futura. Una scuola quindi che si attiva per fare sistema, che dalla liquidità riesce a trovare nuovi percorsi per affrontare le nuove sfide. Ci riuscirà?

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