Forse ha proprio ragione Fiorello, quando afferma che in tv – almeno il pomeriggio – non dovrebbero essere trasmessi servizi truculenti e immagini che grondano sangue, perché a quell’ora davanti al piccolo schermo ci sono bambini, ragazzi e anziani che si terrorizzano quando vedono cotanto orrore.
Certo, il fatto di qualche giorno fa davvero produce un misto di paura e insicurezza: due giovani della provincia ferrarese si organizzano per uccidere i genitori in modo veramente atroce. Si tratta di un sedicenne e di un diciassettenne, figli di quella piccola borghesia padana che ha scambiato il benessere economico con quello psicologico. Adesso i due sono in cella, e si dichiarano già pentiti.
La tv pubblica ha il dovere di informare su quanto succede, ma certamente senza entrare troppo nei dettagli grand guignol dei vari fatti di cronaca: oltre a spaventare giovani e anziani, si rischia sempre l’effetto emulazione, e potrebbero verificarsi altri eventi di questo genere, in una sorta di can can mediatico dell’orrore. Invece, anche oggi, impazzano in tv psichiatri, psicologi, sociologi, criminologi, dotti, medici e sapienti che analizzano il duplice delitto cercando di darne una spiegazione logica.
Ma dove mai può essere la logica in un assassinio simile? Nessuno avrà dimenticato i casi terribili di Pietro Maso e di Erika Di Nardo, che colpirono al cuore anni fa l’Italia, facendo scempio e sacrilegio della cosa più sacra per il nostro popolo, la famiglia. Questione di soldi, si disse per il primo caso. Un amore contrastato, si spiegò riguardo al secondo. E oggi si assiste al valzer delle giustificazioni: il figlio ha fatto uccidere i due genitori per non meglio precisati problemi mai trattati.
Guardo mio figlio quindicenne e penso a quanto orrore ha già dovuto assorbire nella sua breve vita: la nostra è diventata una società sempre più violenta, e ogni anno che passa si varcano confini mai immaginati in precedenza.
Ripenso con nostalgia ai tempi della mia giovinezza: la parola autorevole di mio padre e di mia madre, i “no” detti e mai rimessi in discussione, la severità allora incomprensibile, gli orari e le regole di comportamento, la mancetta domenicale e le eventuali punizioni per risultati scolastici negativi. Agli occhi degli adolescenti di oggi, che incontro a scuola ogni mattina, tutto questo può sembrare una galera infernale, e ha il sapore delle torture medievali. E forse proprio qua sta il nocciolo del problema: stiamo allevando generazioni di ragazzi anaffettivi, incapaci di vivere i propri sentimenti, le proprie ansie e le tante paure e incertezze di quell’età terribile ma bellissima.
Ragazzi fragili, che passano le loro giornate sui social media e non escono mai di casa, ragazzi che non riescono a sostenere un rimbrotto seppur benevolo di un docente, ragazzi in difficoltà profonda davanti ai primi sentimenti e che comunicano solo con i loro smartphone. E poi genitori assenti, distratti dal lavoro, che ritengono assolto il ruolo con cento euro, complici dei loro figli a cominciare dalle marachelle per finire ai delitti più efferati.
E’ diventato davvero difficile parlare con molti genitori di questi adolescenti, specialmente quando non vanno bene a scuola: non si accetta il fallimento, l’errore, lo sbaglio, si cerca di spianare la strada e di limitare al massimo le asperità nel cammino dei giovani.
E probabilmente proprio qui sta l’inghippo. Ai ragazzi viene presentata una realtà edulcorata, virtuale e facilmente abbordabile. Loro crescono cullandosi nell’illusione che la vita sia una passeggiata in un giardino, e non si preparano all’esistenza reale: non dire mai no, promuovere tutti indistintamente a scuola, concedere tutto e subito a prescindere dal merito non è la ricetta giusta per aiutare i giovani a crescere.
Ah, come sarebbe opportuno che anche il buon Fiorello proponesse questi ragionamenti dagli schermi tv. Magari qualcuno comincerebbe a ripensare questi modelli pedagogici, e si tornerebbe a un’educazione un po’ più rigorosa, capace di formare individui stabili mentalmente, desiderosi di vivere e non depressi a vent’anni, capaci di inserirsi nella società e di amare davvero quelli che li hanno cresciuti.
Fabrizio Scampoli