In questi tempi di disfattismo europeo, l’attribuzione del premio Nobel per la pace all’Unione Europea deve essere accolto con soddisfazione e malcelato ottimismo. L’importante riconoscimento è infatti un premio per il cammino intrapreso fino ad ora dalle istituzioni comunitarie e un incoraggiamento per ciò che ancora c’è da compiere.
La scelta di premiare un corpo politico che non ha ancora trovato una sua forma definitiva può sembrare strana, soprattutto in una fase in cui il progetto europeo sembra aver raggiunto i suoi limiti e minaccia di fallire da un momento all’altro. Ma è proprio per questo motivo che arriva al momento giusto. Il suo messaggio è semplice: l’Europa è la pace e le attuali difficoltà non devono farcelo dimenticare
Il Comitato di Oslo ha infatti premiato un progetto politico. L’Unione europea non è dunque la somma delle attuali difficoltà economiche di ciascun Paese membro quanto piuttosto una volontà politica: e cioè quella di fondare la pace su di una comunità di valori che non nega le nazioni ma, al contrario, le esalta.
E’ stata questa, del resto, l’intuizione iniziale dei padri fondatori, che mantiene ancora la sua originalità ad oltre sessant’anni dalla Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 che creava, nelle parole dei suoi ideatori Monnet e Schuman, quella “solidarietà di fatto” sulla quale si sarebbe innescato tutto il progetto di integrazione europea.
Questa iniziativa ha offerto dunque al Vecchio continente sessant’anni di prosperità e di pace. Certamente non si può disconoscere il contributo decisivo della Nato e degli americani sotto il profilo della protezione militare e degli aiuti economici per il rilancio di un continente uscito a pezzi da due conflitti mondiali. E tuttavia niente sarebbe stato possibile senza la riconciliazione franco-tedesca, manifesto politico e programmatico di un’Europa finalmente libera dalla guerra.
L’Unione europea è sopravvissuta alla caduta del muro di Berlino, un trauma per i francesi che vedevano, fino ad allora, le istituzioni europee come un luogo in cui esprimere a pieno titolo la loro voglia di grandeur. Nel frattempo l’allargamento ad est ha proiettato la Ue verso nuove sfide economiche e politiche e se da un lato è lecito sottolineare il successo “comunitario” in rapporto al boom economico della Polonia, dall’altro lato non si possono tralasciare le serie minacce antidemocratiche venute a galla negli ultimi anni in Ungheria e Romania ma che è presumibile avrebbero avuto ripercussioni ben più gravi se rimaste ai margini delle istituzioni comunitarie.
L’attribuzione del Nobel è in definitiva un premio per la “pace interna”. Impotente all’epoca delle guerre nella ex Jugoslavia, l’Unione europea non ha saputo divenire, fino ad ora, una forza esterna politicamente e diplomaticamente rilevante, sebbene la creazione di un “Servizio Europeo per l’azione esterna” che affianca l’Alto Rappresentante per la politica estera sia un passo rilevante per il futuro della politica estera comunitaria. Ciononostante è all’interno dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia comunitario che sono stati fatti i passi in avanti più significativi in tema di prosperità e pace, se si pensa alla “costituzionalizzazione” dei principi di libertà, democrazia e rispetto dei diritti dell’uomo, divenuti criteri indispensabili per l’adesione all’Unione europea (art. 6 TUE) alla stessa stregua dei criteri di Copenaghen che si occupano invece essenzialmente dei parametri economici da soddisfare.
Il premio Nobel è dunque un omaggio, ma anche un incoraggiamento e un promemoria. Come ogni vincitore, l’Ue dovrà dimostrare di essere degna di tale onore.