Il Governo e la Banca d’Italia, agendo ciascuno in base alle proprie competenze e responsabilità, hanno cercato una soluzione per evitare il tracollo di quattro banche di piccole e medie dimensioni (quota mercato nazionale dell’1% circa in termini di depositi) in sofferenza e tra queste la Carichieti.
L’intento della soluzione adottata è stato di assicurare la continuità operativa delle banche, il loro risanamento e salvaguardare l’interesse dell’economia del territorio in cui queste operano.
La soluzione, in linea con le norme europee sugli "aiuti di Stato", si articola secondo il seguente schema.
- Per ciascuna delle quattro banche la parte "buona" è stata separata da quella "cattiva" del bilancio.
- Alla parte buona (“banca buona” o "banca-ponte" o bridge bank) sono state conferite tutte le attività diverse dai prestiti “in sofferenza”, cioè quelli di più dubbio realizzo.
- Si è costituita una "banca cattiva" (bad bank, unica per tutte e quattro le banche oggetto dell’operazione di riassesto), priva di licenza bancaria, in cui sono stati concentrati i prestiti in sofferenza che residuano una volta fatte assorbire le perdite dalle azioni e dalle obbligazioni subordinate e, per la parte eccedente, da un apporto del Fondo di Risoluzione. Quest’ultimo fornisce alla banca cattiva anche la necessaria dotazione di capitale. La banca cattiva resterà in vita solo per il tempo necessario a vendere o a ealizzare le sofferenze in essa inserite.
- L’impegno finanziario immediato del Fondo di Risoluzione per le quattro banche è di 3.6 miliardi di euro.
- La liquidità necessaria al Fondo di Risoluzione per iniziare immediatamente a operare è stata anticipata da tre grandi banche (Banca Intesa Sanpaolo, Unicredit e UBI Banca), a tassi di mercato e con scadenza massima di 18 mesi.
- Le quattro banche originarie divengono dei contenitori residui in cui sono confinate le perdite e la loro copertura, e vengono subito poste in liquidazione coatta amministrativa.
- Le banche buone (banche ponte) ne assumono la stessa denominazione con ’aggettivo “Nuova” davanti e proseguono nell’attività essendo state ripulite delle sofferenze e ricapitalizzate.
Come nel caso del Banco Ambrosiano che nel 1982 aveva subito una sorte simile e poi rinato dalle sue ceneri come la “Fenice”, la Carichieti, venerdì 20 novembre ha chiuso i battenti e lunedì ha riaperto con un nuovo nome e un nuovo assetto patrimoniale e con un nuovo amministratore delegato Salvatore Immordino. Un nome profetico?
Come previsto dalla “Direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie”, recepita nell’ordinamento italiano dallo scorso 16 novembre con il Decreto Legislativo 180/2015, le perdite accumulate nel tempo da queste banche sono state assorbite in prima battuta dalle azioni e dalle "obbligazioni subordinate". Quest’ultime subiscono due sorti diverse a seconda che siano convertibili o meno. Le prime sono congelate ed eventualmente riscosse in sede di liquidazione coatta amministrativa della banca originaria e le seconde invece subiscono la stessa sorte delle azioni. Di questa normativa i detentori di azioni e obbligazioni subordinate hanno subito gli effetti negativi ma non quelli positivi inerenti la vigilanza da parte della Consob e della Banca d'Italia.
Molte associazioni di categoria e legali stanno proponendo, ai possessori di questi titoli, cause legali per avere un ristoro economico. Purtroppo le azioni e le obbligazioni subordinate, per definizione e per natura partecipano al rischio d’impresa, se l’azienda prospera anch’esse prosperano ma se l’azienda va in perdita anche loro subiscono gli effetti negativi della crisi.
È immaginabile vari ricorsi a class action per le conseguenze dell’applicazione della nuova direttiva europea sulle crisi bancarie o di citazioni risarcitorie nei confronti dei responsabili del dissesto. La Confartigianato, che ha subito in prima persona un danno finanziario da questa operazione per aver investito 150.000 euro in obbligazioni subordinate, già si sta muovendo in questa direzione.