Esperienza tra Turchia e Siria per un gruppo di volontari facenti parte di una spedizione umanitaria internazionale.
Tra di essi il vastese Domenico Sandro Ranieri, rappresentante vastese dei Cobas, Coralba Giannico di Lanciano e Mirco Staniscia di Santa Maria Imbaro.
I primi due ne hanno parlato nel corso di una conferenza stampa.
Di seguito il racconto.
La carovana 15 settembre prende il nome dal primo attacco dei Daesh a Kobane, esattamente un anno fa, il 15 settembre 2014.
La carovana si è ritrovata a Suruç, per tentare di aprire un corridoio umanitario verso Kobane.
Circa 80 persone da Belgio, Austria, Paesi Baschi, Argentina (Fabian, compagno Cobas scuola quand’era a Firenze), Nord America, moltissimi italiani di cui due deputati Sel, Franco Bordo e Giovanni Paglia, e una coppia di sposini che ha scelto queste terre come viaggio di nozze.
Dovevano arrivare altri ma sono stati bloccati alla dogana e rimpatriati 2 belgi 2 russi e 3 italiani, altri 2 italiani sono riusciti ad entrare dopo due giorni.
Tanti con esperienze simili, o già stati nelle terre del Rojava, insieme a noi Claudio Tamagnini, unico italiano della Freedom Flotilla, in Palestina.
Kevin, uno degli interpreti, americano di origini kurde, arrivato proprio per la carovana e uno dei candidati alle prossime elezioni kurde.
Molte le associazioni rappresentate, dai Cobas all’ Associazione di Amicizia Italia Cuba, Nueva Izquierda, Mezza luna rossa Kurdistan Italia, centri sociali. La carovana è stata organizzata dalla UIKI Onlus, insieme a Rete Kurdistan Italia a poter entrare “senza rischiare grossi pericoli” in queste zone.
Il 15 settembre del 2014 il cantone di Kobane è stato assediato dai terroristi dell’ISIS in collaborazione con lo stato turco, da tre lati e dal confine con la Turchia a nord, con artiglieria pesante e carri armati. Una lotta esistenziale per mantenere il controllo nel nord della Siria e difendere la popolazione civile da attacchi indiscriminati e odiosi dell’ISIS, combattendo contro l’ISIS con armi limitate ma con tanta forza di volontà e il sostegno del popolo. Dopo 134 giorni di resistenza, il 27 gennaio 2015, il Pkk, insieme alle milizie locali dello Ypg Ypj (Unità di Difesa del Popolo/Unità di Difesa delle Donne) ha riconquistato la città.
Le elezioni politiche del 7 giugno 2015 hanno visto fallire il sogno di Erdogan di conquistare la maggioranza assoluta parlamentare con l’Akp per poter modificare la Costituzione creando una repubblica presidenziale. L’HDP, partito nato due anni fa, ha superato lo sbarramento del 10%, eleggendo 80 deputati, cosa che non è andata bene ad Erdogan infatti da allora, le provocazioni contro membri dell’HDP, DBP, contro la popolazione curda, da parte di Erdogan, della polizia, esercito e gruppi nazionalisti, hanno portato ad un clima di terrore, violenze e tensioni. I curdi sono impegnati in una guerra legittima di autodifesa per porre fine a questa guerra sporca contro l’umanità. La tragedia è che i curdi sono stati lasciati soli in questa guerra che minaccia il mondo intero. L’unico popolo che combatte contro le atrocità del capitalismo. Il capitalismo ha ridotto il mondo in schiavo, discrimina e divide le persone, ha schiavizzato le donne e l’umanità, ha distrutto la terra.
“Lotteremo per realizzare l’utopia di uno stato libero”
Il nostro primo giorno, il 13 settembre, dopo l’accoglienza del copresidente della municipalità di Suruç, ai confini con la Siria, i compagni kurdi ci hanno portato a visitare il Centro culturale Amara di Suruç. Il 19 luglio 2015 avevano festeggiato la liberazione del popolo kurdo, il giorno dopo, il 20 luglio, un infiltrato si è fatto esplodere, 30 persone hanno perso la vita e oltre 150 i feriti.
“La loro lotta illuminerà la nostra strada” dice il compagno kurdo Garip.
Daesh ha compiuto questo massacro il giorno dopo la festa di liberazione al Centro Amara, un obiettivo ben preciso per dare un messaggio ben preciso a tutti: ”Chi appoggia la resistenza kurda subirà questi massacri e sarà ammazzato”.
Il discorso dei nostri deputati, che cercheranno di portare in parlamento la questione kurda (almeno così hanno detto), rendendo omaggio ai caduti combattenti della e per la democrazia della rivoluzione kurda e, ricordando i nostri partigiani: ”Battersi affinché tutti i popoli siano liberi”.
Visita nei 3 campi profughi di Suruç, accampamenti di tende e di container, dove vivono a temperature di 40 50 gradi, disabili, bambini, anziani. La municipalità di Suruç e di altri paesi limitrofi li hanno ospitati. I profughi vogliono tornare a Kobane, anche se oltre 100.000 già lo hanno fatto, ovviamente smontando e rimontando le tende che avevano nei campi profughi perché le loro case sono distrutte. In uno dei campi circa 20 giorni fa, i militari turchi sono entrati in maniera disumana alle cinque di mattina, con l’intento di sgomberare e distruggere il campo, e l’ hanno fatto. Hanno distrutto la scuola, le tende, i medicinali e l’ambulatorio. Un ragazzo americano che aiutava i profughi, lavorando come volontario, lo hanno preso e rispedito nel proprio paese con l’accusa di essere un terrorista che aiuta e appoggia il PKK. Da quel giorno, quando i bambini vedono due tre macchine che si avvicinano al campo, hanno paura. Con noi hanno giocato, cantato, riso.
Visita anche al museo dei martiri di Kobane. Il museo è stato allestito da un compagno rivoluzionario kurdo morto qualche mese fa, all’età di 65 anni.
Pranzo a Suruç insieme ai compagni e alle compagne, al centro Caikara Camiisi, ai confini con la Siria.
Poi assemblea delle donne kurde “Madri per la pace” ed altre associazioni, partiti, municipalità, tutte in KJA, con le donne della carovana 15 settembre.
Il secondo giorno sempre a Suruç, abbiamo incontrato il copresidente del cantone di Kobane, la copresidente dell’HDP di Cizire, la presidente delle donne combattenti e le varie municipalità di Suruç che ci hanno parlato della situazione e della difficile ricostruzione di Kobane, di come si comportano le bestie dell’ISIS, violenze, stupri, massacri senza pietà, un massacro che dura da 40 anni, incessantemente ogni giorno, ricordando anche il popolo degli yezidi che ha subito 73 massacri , 73 genocidi.
L’appello dei compagni kurdi è quello di fermare il capitalismo, di combattere contro questo sistema che ci ha resi schiavi, batterci per la libertà insieme a loro. America ed Europa non sono fuori da questa guerra . Quello che chiede il popolo del kurdistan oltre alla ricostruzione di Kobane quindi scuole, ospedali accademia delle donne , importante è far riconoscere il Rojava stato autonomo. A Kobane e in Medio Oriente non accettano lo stato-nazione ma vogliono creare stati democratici ed è per questo che subiscono attacchi continui, infatti l’ultimo massacro a Cizire, proprio perché Cizire, circa un mese fa, ha dichiarato la propria autonomia. Gli aiuti abbiamo deciso insieme a loro di farli arrivare in denaro, primo perché alle dogane bloccano tutto, medicinali, vestiti, materiali scolastici, secondo perché loro sanno come gestire il denaro, dove può servire con più urgenza.
Il primo novembre ci saranno le elezioni in Turchia, volute da Erdogan e chiedono molte forze da noi come osservatori internazionali in quanto, temono un (sicuro) boicottaggio da parte di Erdogan.
Molte popolazioni non potranno votare per la situazione di guerriglia che hanno, altre lo faranno col fucile puntato.
Chiedono osservatori internazionali in modo che possano riuscire a tenere sotto controllo le elezioni ,evitando o meglio limitando, minacce e boicottaggi.
La sera, al rientro in hotel siamo stati fermati dalla polizia e perquisiti, insieme a noi anche i due parlamentari e una sospetta scatola di liquirizia pura, dopotutto siamo stati seguiti e monitorati dalla polizia passo dopo passo, per tutti i giorni della permanenza.
Il 15 settembre, dopo aver fatto visita nella sede del DBP dove i compagni sottolineavano le lamentele sulla crisi e il polverone per i rifugiati che l’unione europea deve accogliere: “Dobbiamo ricordarci e criticare l’approccio che l’unione europea ha verso i rifugiati e ricordare che noi, nelle nostre piccole realtà, ne accogliamo da 250.000 a 500.000. Il governo turco ha confiscato gli aiuti e ci ha ostacolati nell’accoglienza dei profughi. Molte persone sono anche state arrestate per questo. La Turchia dice che può accettare solo 20 famiglie a settimana. Nei campi profughi turchi, avvengono continuamente stupri e violenze. Il governo turco ha detto di aver accolto migliaia di famiglie di profughi in realtà, ha lasciato la gente per strada. Non basta far entrare i profughi ma bisogna creare le condizioni per vivere”.
Il messaggio che danno all’Europa e al mondo: ”Invece di pensare alla crisi dei rifugiati nei vostri territori, pensate piuttosto ad aiutare le persone e a farle star bene, non costringendole a fuggire dai propri territori!”
Ocalan ha creato un sistema democratico confederale contro lo stato-nazione. Apo dice: ”La vittoria viene quando uomini e donne si uniscono, non c’è pace senza le donne, non c’è libertà se le donne non sono libere. Donne libere, Rojava Libero”
“Dite che il popolo kurdo è oppresso, non è un popolo libero e soprattutto le donne non sono libere, per questo combattiamo tutti i giorni. Vorremmo che in tutto il mondo le donne si unissero contro i governi fascisti, perché i governi hanno paura delle unioni tra donne e tra popoli”.
Poi ancora l’incontro di sole donne, questa volta al campo profugo Arin Mirxan, una guerrigliera dello YPJ che si è fatta saltare in aria per salvare la vita dei e delle compagne, per evitare altri stupri e massacri. Ci siamo recati al confine portando con noi medicinali apparecchiature sanitarie, materiale scolastico.
Sapevamo già che alle richieste di apertura del gate, le uniche risposte erano state le minaccie di chiusura definitiva della frontiera. Il primo ostacolo al gate, dove troviamo blindati e barricate della polizia. Abbiamo tentato una deviazione ma, impossibile perché tutti gli accessi sono supersorvegliati. L’unica alternativa, il villaggio di Mesher, per una conferenza stampa e la manifestazione con striscioni “OPEN THE UMANITARIAN CORRIDOR NOW-APRIRE IL CORRIDOIO UMANITARIO ORA” e “WE CAN BE FREE TOGHETER, WE CAN’T BE FREE ALONE- POSSIAMO ESSERE LIBERI INSIEME, NON POSSIAMO ESSERE LIBERI DA SOLi”.
Il 16 settembre, ultimo giorno, la carovana ha deciso di dividersi in due gruppi per testimoniare le varie realtà e denunciarle.
Un gruppo ha fatto visita a Cizire, dove è stato accolto e protetto dalla popolazione e dalle forze dell'HDP.
Ci hanno raccontato di aver assistito al funerale delle vittime del massacro di questi giorni commesso dal Daesh di cui un bambino di soli 35 giorni di vita e di una donna che ha dovuto congelare il corpo del proprio figlio perchè non le permettevano di fare il funerale.
Ci hanno raccontato di una città che, nonostante fosse in lutto, li ha accolti col sorriso, la consapevolezza e la forza di ospitare gente che avrebbe riportato testimonianze in tutto il mondo, di una città che per otto giorni è rimasta senza luce, senza cibo, senza acqua per la sopravvivenza: ”La vita senza acqua e cibo non può andare avanti” dice qualcuno.
Un giro tra le macerie della città, il pranzo offerto anche se non hanno quasi più nulla, tranne il coraggio e la forza di combattere fino alla morte per quegli ideali che non esistono nel resto del mondo: la libertà e la pace.
La libertà delle donne, di tutti i popoli, dei bambini e di ogni essere umano, contro le dittature nazi-fasciste di Erdogan e di tutto il capitalismo: il capitalismo al quale noi ci pieghiamo ogni giorno senza dare una risposta, senza neppure un accenno di opposizione contro di essa.
Quanto hanno raccontano anche le donne del KJA (Free Women Congress) all' altro gruppo della carovana che si è recata a Dijarbakir, delle lotte delle donne dello YPJ, delle martiri, violentate in ogni modo ed ammazzate, di come è nata questa associazione di donne libere e dei loro progetti di gineologia, la scienza delle donne, il mondo delle donne.
"Usate le armi solo per difendervi...". Queste le parole del leader del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) Abdullah Ocalan.
Una condanna solo perchè lui ed il popolo kurdo, vogliono che il Rojava venga riconosciuta regione autonoma.Ci ha raccontato di questi quindici anni di resistenza di Ocalan e di come viene maltrattato nelle carceri, in isolamento sull'isola di Imrali (Turchia), prigione in cui e' l'unico recluso, riportate dall'unica persona autorizzata a fargli visita.
Oltre ai racconti di copresidenti@ di partiti e municipalità, si sente anche l'assordante rumore di aerei militari della base militare in Dijarbakir, che partono ogni tre minuti per bombardare la Siria, intervallati da 15 minuti di silenzio, per tutto il giorno.
Incontriamo i copresidenti dell'HDP di Dijarbakir che sottolineano ancora l'indifferenza dell'Europa nei confronti dei profughi .
Il co-Presidente del DBP di Dijarbakir ci accoglie da solo perchè la coPresidente è agli arresti senza motivo, già da qualche mese. Ci racconta dei suoi cinque anni trascorsi in carcere e ci saluta dicendo di aver paura di essere ancora arrestato, nei suoi occhi si leggono la paura e l'appello di aiuto a fermare questo massacro.
Un giro al buio tra le macerie e le barricate della città(unico modo che hanno per ostacolare il nemico) e l'incontro con un gruppo di combattenti: "video e fotocamere spente per favore, dal momento che ci incontrate, i nostri volti li dovete dimenticare, non un qualsiasi piccolo particolare per far riconoscere i nostri volti, i nostri luoghi, loro ci rintracciano e ci ammazzano. Ammazzano i nostri figli. Noi siamo la resistenza!"
Un brivido per quella parola che conosciamo solo nei racconti o in un canto: "... il partigiano morto per la libertà..." una lezione di vita dai compagni kurdi.
L'abbraccio ed il saluto dei compagni kurdi, la partenza per il rientro in albergo. Lungo la strada buia, il silenzio profondo e riflessivo di tutti noi, spezzato ogni tanto da battute.
Ancora loro, un posto di blocco, la polizia ci ferma. E' l'una di notte, l'autista stanco risponde:"Turisti italiani" e via, si riparte.
Si riparte con l'amarezza di non essere riusciti ad aprire il corridoio umanitario: fare un passo indietro per evitare ancora massacri, per evitare che quel corridoio venisse chiuso per mesi, anni o per sempre.
Come Carovana e associazioni continueremo la nostra resistenza insieme ai compagni kurdi. Non li lasceremo soli. Fermiamo il capitalismo ovunque, non dobbiamo aver paura di rinunciare a tutto e di lottare per la libertà, nostra e dei nostri figli, il futuro dell’umanità. Grazie per l'ospitalità e la protezione, grazie per l'esperienza e la lezione di vita che ci avete regalato, grazie di tutto Kobane e Rojava. Grazie!
Biji Berxwedana Rojava!
(Viva la resistenza del Rojava!)