L'Abruzzo continua ad essere mercato appetibile per i trafficanti di droga e non si prevedono mutamenti per il prossimo futuro. Anzi lo spettro d'azione, circoscritto fino ad alcuni anni fa agli albanesi e ai romeni, con l'immancabile apporto dato dai nomadi stanziali per lo smercio al minuto, si è allargato ad altre etnie con il diffondersi nell'Europa occidentale di cittadini del terzo mondo, provenienti dall'Africa - tunisini, marocchini e nigeriani - e dall'America latina - dominicani.
Lo afferma nella sua relazione annuale il sostituto procuratore nazionale antimafia, Olga Capasso, che dedica un apposito capitolo al narcotraffico nella nostra regione. «Questo - spiega il magistrato inquirente - ha facilitato il flusso delle droghe anche in terre, come l'Abruzzo, un tempo più isolate dal resto del paese e non invase da una criminalità autoctona, sia perché questi stranieri hanno contatti diretti con i loro paesi d'origine e sanno meglio come e dove approvvigionarsi, sia perché si adattano a compiti che gli italiani non farebbero mai, come il trasporto della cocaina nel proprio corpo. Altro fattore che fa prevedere ulteriori impennate del mercato è la vicinanza della regione alla Campania, e quindi alla camorra, che facilita il trasporto della droga in Abruzzo e trova fertile terreno nella delinquenza locale e nelle famiglie rom disposte a partecipare a quegli affari. Ormai - sottoline la relazione della Dia - cellule mafiose, sotto forma di 'ndrine e clan secessionisti si sono formate in Abruzzo, per contingenze varie, e hanno impiantato le loro attività nel territorio. Ci si riferisce al clan Ferrazzo, agli scissionisti del clan Vollaro come quello del camorrista Lorenzo Cozzolino, al procedimento che vede un camorrista tra gli indagati».
Tuttavia il sostituto Olga Capasso ritiene che i clan non sono molti «per poter dire che la mafia ha trovato il suo terreno in Abruzzo».