La città del domani non la si costruisce cercando di difendere con le unghie ciò che abbiamo, e che chi è più forte di noi ci vuole e ci sta strappando, ma solo immaginando e gettando le basi per edificare una macrocittà. In un periodo di spending review, che senza alcun timore mi piace affermare sia la conseguenza della politica spendacciona della prima repubblica, risulta perlopiù inutile ogni battaglia volta ad evitare lo smantellamento di quei servizi che, non fosse altro per gli anni di permanenza, sono divenuti parte integrante di una città e di una Comunità.
Il Tribunale è una di quelle vittime di una pesante ed orizzontale campagna di tagli che il Governo Monti, ma anche quello Letta, hanno messo in campo. Ma il Palazzo di Giustizia non è il solo simbolo di una “guerra contro gli sprechi” che si sta trasformando, almeno per quanto riguarda il nostro territorio, in un vero e proprio depauperamento. In questo quadro desolante, non sfigura la politica cittadina, né tantomeno stonano i cosiddetti difensori di interessi, o, in questo caso, difensori di strutture. I quali si affannano a tutelare, mostrando le unghie, quello che gli si sta - per certi versi ingiustamente, per carità – strappando, e non si stancano di rimpiangere quello che ormai è il ricordo di uno stupendo passato. Le proteste, i comunicati stampa, le manifestazioni, i convegni, gli scioperi e le raccolte firme, però, si sono dimostrati strumenti utili solamente a rinviare il problema, senza dargli soluzione definitiva e dunque senza che coloro che lottano e quelli che in silenzio attendono, abbiano una certezza del proprio ed altrui futuro.
La soppressione dello scalo merci alla stazione ferroviaria Vasto–San Salvo, la paventata chiusura del Tribunale, le saracinesche di Equitalia chiuse, possibili accorpamenti di servizi ospedalieri in centri maggiori, la fusione dei Consorzi industriali, così come la mancanza di uffici che assicurano ai cittadini vastesi servizi vicini, non si combattono né con una locandina di un quotidiano, né tantomeno consumando gli pneumatici delle automobili facendo Vasto–Roma e ritorno, per raggiungere i piani alti della Politica. Occorre invece prendere coscienza che la vera strada da percorrere è quella della realizzazione della macrocittà.
Vasto capofila di un ampio territorio, non è una novità: è un qualcosa che, voglio dire, già più di un Amministratore lungimirante del passato, aveva immaginato. E purtroppo è rimasta solo e soltanto immaginazione, appunto. Perché nei fatti Vasto è rimasta un centro abitato un po’ troppo cresciuto, o per meglio dire diventato adulto velocemente ed incontrollatamente. Una città ma non troppo città; un paese ma non proprio paese. Inutile dire, dunque, che nella cartina geografica dell’Italia, quella che una volta si chiamava Histonium, è un puntino piccolo piccolo. Se si vuole invece che Vasto torni a “contare”, come si suol dire, e cominci ad essere considerata un guerriero tenace, occorre per forza di cose pensare al suo sviluppo. Sviluppo inteso come realizzazione di opere pubbliche, come espansione meditata ed armonica della città stessa, come inglobamento di quelle realtà vicine che da sole rappresentano una particella di sodio e senza le quali noi continuiamo a rimanere nel nostro recinto. Capofila o vorrei dire catalizzatore, aggregatore di tutte quelle realtà finora satellite e che insieme possono creare un universo. Lo sviluppo di Vasto deve necessariamente partire da una visione della città del futuro, ridisegnando e riprogettando l’urbanizzazione del territorio stesso, spogliata negli ultimi anni di un senso di Comunità e relegata ad essere sinonimo di cemento.
Non fa curriculum quella sorta di presepe – per essere gentili – ma che senza timore di essere smentito si potrebbe chiamare agglomerato popolare – con tutto il rispetto per i quartieri nati a seguito della legge 167 – nella zona di Sant’Onofrio, così come nella parte che precede l’Incoronata. Una grande città non è costituita da case ammassate tra di loro: è fatta di strade, di servizi, di aree verdi, di spazi aggregativi, di funzionalità, di poli scolastici, di luoghi di cultura, di tradizione e di modernità; è fatta di zone residenziali, commerciali, di aree industriali e di edilizia popolare che risponda alle esigenze di quella fetta di cittadini meno fortunati di altri. Una grande città, una città che si rispetti, è un frullato di tradizioni e progresso. Ed è solo immaginando e progettando una Vasto che sia grande, più grande nel territorio, nel numero degli abitanti e, perché no, nella mentalità e nella cultura di ognuno di noi, che non solo riusciremo a mantenere tutte quelle strutture e quei servizi per i quali, oggi come oggi, non abbiamo i requisiti, ma potremo ottenere quello che fino ad ora è stato un sogno di vecchi e nuovi amministratori.
Certo, da quando è nata, Vasto ha fatto – tra alti e bassi - un salto in avanti, ma non è arrivata dall’altra parte della voragine. È rimasta sull’orlo. Che può rappresentare il precipizio, o il trampolino per approdare nella terra del futuro.