Non possiamo permetterci di pensare che tutto ciò che ci lascia il terribile attentato di Brindisi sia un messaggio di morte.
Una società civile non deve fermarsi alla ovvia condanna di un atto deprecabile che lascia sgomenti per la sua crudeltà ; deve piuttosto raccogliere un preoccupante segnale di pericolo per la tenuta del nostro stare insieme. Quello di sabato è un colpo allo Stato, non tanto perché ha rinnovato la consapevolezza di una minaccia, la violenza, che incombe silenziosamente, ma soprattutto perché l’oggetto di quella violenza è lo Stato vero, è l’Italia di domani.
Troppe volte dimentichiamo che un Paese è grande nella misura in cui considera ogni sua azione, ogni suo progetto quali fondamenta della vita dei suoi figli. Se riconosciamo questo come un principio insostituibile di civiltà , allora non si comprende perché ci ritroviamo a parlare di giovani solo legandoli a fenomeni come la disoccupazione crescente, il bullismo, la microcriminalità , oppure, come in questa triste vicenda, in quanto vittime della brutalità di un vile disegno criminoso. Di certo quello dei giovani non sembra un tema alla portata della politica, almeno di questa politica, che è solita farne un cavallo di battaglia in occasione di una campagna elettorale, salvo poi, immediatamente dopo, tornare a rifugiarsi dentro i soliti schemi di contrapposizioni e personalismi che alimentano sentimenti di disapprovazione e disaffezione. E di fronte a continue manifestazioni d’insofferenza, i politici non possono continuare a fare finta di niente. Per prima cosa devono comprendere che non sono stati all’altezza di imprimere una svolta democratica al nostro Paese e di indicare prospettive credibili di crescita morale ed economica. Le future generazioni stanno già pagando un prezzo troppo alto per l’insipienza di una classe dirigente che per decenni ha preferito le non-scelte, mentre andava esaurendo l’inestimabile patrimonio di ideali e di lavoro dei suoi padri. Questa volta, purtroppo o per fortuna, la gravità della situazione presente impone a tutti una presa di coscienza dei propri errori.
È finita la politica delle persone sole al comando, degli opportunisti che, sfruttando il buonsenso degli elettori, fanno della convenienza personale il baricentro delle proprie azioni. Così, partiti ridotti ad aggregazioni di facciata prive di condivisa consistenza ideale hanno imprigionato la Politica, umiliandone il suo altissimo carattere di costruttore del bene comune. La gente, nelle recenti elezioni amministrative, ha lanciato un appello inequivocabile soprattutto attraverso l’astensione dal voto: ha preteso scelte di concretezza e rispetto; un rispetto che diventa presupposto di un confronto leale e costruttivo tra amministratori ed amministrati, ma anche rivendicazione di posizioni nette e limpide. E la risposta che ora si cerca fuori dal sistema dei partiti, non può che provenire da una loro rigenerazione, da una loro elevazione morale. Essi devono tornare con forza a parlare un linguaggio di verità e di sincerità : alla politica i cittadini non chiedono l’impossibile perché sono i primi ad essere consapevoli che la fase di cambiamento che stiamo vivendo rimetterà in discussione l’insieme delle nostre conquiste, tutto ciò che ci è sembrato acquisito fino a ieri.
Per questo la nostra società , a tutti i livelli, deve raccogliere una sfida: deve investire nel lavoro di persone libere ed appassionate, visionarie ma determinate nel dimostrare che è possibile cambiare; soprattutto non deve permettere che si esaurisca la speranza. In questa crisi di sistema non muore certo una visione di civiltà , la stessa che fu di tanti servitori dello Stato che, onestamente e a rischio della propria vita, continuano a testimoniarci la fedeltà a valori destinati a non morire. Sta a noi giovani difenderla come il bene più prezioso, appassionandoci alla Democrazia, quell’irrinunciabile presidio di libertà che può farci guardare il futuro non più come un’incognita priva di certezze, ma un’opportunità concreta di riscoprirci italiani migliori di chi ci ha preceduto.