Ho assistito con grande piacere allo spettacolo “Misura per misura” di William Shakespeare messo in scena, con la regia di Antonio Ligas, da Mpa Theatre e Compagnia Stabile del Molise presso il Teatro “Figlie della Croce” Madonna dell'Asilo a Vasto.
Lo spettacolo, molto complesso pur non essendo stato rappresentato completamente il testo dell’opera, ha lasciato numerosi spunti di riflessione e ha effettuato uno studio significativo sulla soggettività dei metri di giudizio.
La messa in scena è stata arricchita da performance canore e coreografiche in grado di rendere più piacevole, anche per i meno attenti, la visione dello spettacolo, riportando in chiave moderna, ove possibile (come nella scelta delle colonne sonore, ma anche nelle movenze e nelle attitudini di alcuni personaggi), un testo che troppo spesso rimane legato al passato e che, invece, dovremmo trovare il modo di rendere attuale. Miscere utile dulci, ecco.
L’inizio dello spettacolo ci ha subito gettati nella realtà grezza ed affascinante, estremamente disinibita, a cui saremmo andati incontro: balli sensuali, in cui la concupiscenza si confondeva con l’amore, hanno subito tracciato i punti chiave dello spaccato sociale in cui saremmo stati immersi.
La vicenda nasce con l’improvvisa partenza del Duca di Vienna, che, in sua assenza, nomina un Vicario - Angelo - per espletare le sue funzioni. A nessuno è in realtà chiaro dove il Duca si sia recato, né al popolo, né ai suoi più stretti collaboratori.
È interessante osservare le dinamiche che si sviluppano tra i personaggi, appartenenti anche alle classi sociali più emarginate, alla sua partenza: nascono più voci e più ipotesi, ma nessuno tra loro sa la verità.
L’unica cosa chiara è il malcontento nei confronti del Vicario che, a differenza del Duca, applica in maniera rigorosa ed inflessibile ogni legge, forte di quanto, alla partenza, gli era stato detto dal Duca stesso: “non far uscire la nostra forza è come non averla”.
Il contesto sociale in cui irrompe questo improvviso atteggiamento di intolleranza è quello di un'ostilità nei confronti della lussuria e dell’adulterio. Poco prima i bordelli nei sobborghi erano stati messi fuorilegge, mentre quelli in città, presumibilmente su spinta della borghesia cittadina, continuavano ad operare.
Il giudizio implacabile del Vicario si scaglia, in particolare, su Claudio, reo di aver messo incinta Giulietta all’infuori del matrimonio. A quel punto, Isabella, giovane novizia e sorella di Claudio, viene contattata dall’amico Lucio ed informata dell’accaduto.
La colpa, secondo Angelo, è condannata prima di essere commessa. Il Vicario agisce in maniera meccanica, ritenendosi depositario terzo del giudizio collettivo nei confronti del singolo: una convinzione quantomeno utopistica, degna delle teorie più articolare circa la piena automatizzazione.
Intanto Isabella, nonostante la ferma condanna delle azioni del fratello, decide comunque di chiedere al Vicario la grazia. I suoi tentativi, in principio fallimentari, insinuano l’animo del Vicario che inizia, in cuor suo, a mettere in discussione la comminazione della pena.
Si verifica a questo punto una scissione tra il ruolo pubblico che Angelo aveva incarnato fino a questo momento e la sua coscienza di singolo. Egli perde la freddezza di giudizio e la terzietà che aveva cercato di mantenere fino a questo momento, spingendosi a proporre ad Isabella di dare la sua verginità in cambio della vita del fratello. Lei, coerente e decisa, risponde che preferirebbe la morte di Claudio a quella della sua anima per l’eternità.
A questo punto, anche allo spettatore, iniziano a sorgere dubbi circa la legittimità di Angelo di giudicare l’altro pur avendo perso ogni terzietà nei confronti della vicenda cui applicare la legge. È sufficiente una rapida rilettura del “Dei delitti e delle pene” del Beccaria, d’altronde, per comprendere quanto questa sia una condizione necessaria: “il peso fatto agli altri sia il peso fatto a sé”, viene ribadito durante lo spettacolo. Se Angelo infrange delle norme che condanna negli altri è un tiranno e un ipocrita, se è coerente è un uomo giusto e rispettoso del patto sociale, questo è chiaro.
Tante domande sorgono di fronte a questa vicenda: “se i giudici son corrotti i ladri hanno il diritto di rubare?”, “se la società non è perfetta - e non lo è - si può venire meno ad un rapporto paritetico tra gli individui per giungere all’utopia?”, “quale mezzo è accettabile per plasmare al meglio la comunità?”, “può esserci colpa in un peccato commesso per salvare qualcuno?”. Il giudice è un essere umano e, in qualche modo, deve venire a capo del dissidio tra le idee cui giunge razionalmente ed attraverso le pulsioni. Lo stimolo esterno - come quello portato da Isabella - di fatto, agendo per via irrazionale, è in grado di far divergere un punto di vista radicato.
Intanto altri, come il bargello, sono già certi dell’ingiustizia di togliere la vita a Claudio, ed è affascinante in quanto, in ultima analisi, chi come lui si occupa di organizzare le esecuzioni, avrebbe in realtà il potere di evitarle. Diceva De André nel “Girotondo”: “Se getterà la bomba chi ci salverà? Ci salva l'aviatore che non lo farà”. Ecco, è facile in questo caso osservare l’importanza dell’azione individuale e dell’autonomia di giudizio di ognuno nell'esercizio delle proprie funzioni. Agire freddamente a servizio di una causa è una pratica diffusissima e che ricorderà bene chi ha letto “La banalità del male” di Hannah Arendt: “Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”.
Sembra non ci sia soluzione, quando, quasi provvidenzialmente, un frate arriva in soccorso di Isabella, che architetta un inganno nei confronti del Vicario che, tempo prima, aveva ripudiato la promessa sposa Mariana quando aveva perso la dote.
La storia si conclude con una rivelazione: il Duca non era davvero partito, ma era il frate stesso. Era una prova per Angelo, il Vicario, che in sua assenza avrebbe applicato le leggi senza compromettere la figura del Duca.
Ormai è troppo tardi per Angelo, il Duca sa tutto. Il Vicario viene risparmiato ma costretto a prendere in sposa Mariana, che aveva ripudiato, e Claudio è finalmente salvo.
Lo spettacolo non dà risposte, ma solleva numerosi quesiti circa il prospettivismo e i temi che Protagora poneva già molto tempo fa: “l’uomo è misura di tutte le cose”, ma quale uomo? Questo è il principale ed importante interrogativo che mi ha lasciato questo spettacolo. Grazie.