Grazie alla elegante rivista Civiltà della Tavola, organo ufficiale dell’Accademia Italiana della Cucina, abbiamo potuto rinnovare memoria e personalità del grande Don Romeo Rucci, indimenticato parroco della San Pietro avanti-frana.
Sul numero del settembre scorso di quel mensile (clicca qui) - alle pagine 21-23, con istruzioni e dosi della vera leccornìa - a firma del nostro collega in giornalismo Pino Jubatti, è comparso un lungo intervento… gastronomico: tutto a carico della bravura, pure ai fornelli, da parte di Don Romeo.
Ma, onde riproporre il nostro canonico nella giusta luce umana ed ecclesiale, soprattutto per chi non lo ha conosciuto in vita, anticipiamo doverosamente che Don Romeo amava tanto la sua chiesa - retta per parecchi decenni e con il germoglio di personalità pastorali di rilievo, come Don Giuseppe Cinquina, Don Salvatore Pepe, Don Michele Ronzitti -, da esserne morto di dolore per la demolizione a causa della frana; assieme a qualche breve notizia civile: era nipote del grande Filippo Palizzi, di cui ha lasciato testimonianza attiva, pur se riservata, con dipinti di un certo pregio; non meravigli, dunque, l’inevitabile sbocco nella cucina sobria, in perfetta chiave etica (e sempre in linea con il felice idioma dei suoi illustri parrocchiani di lu Uà šte… A proposito di cose di popolo, Pino Jubatti ci fa sapere che pure Pellegrino Artusi celebra un famoso Don Pomodoro, prete gastronomo della sua Forlimpopoli: così chiamato perché «metteva sempre il naso per tutto», nel senso che conosceva tutti i segreti delle ghiottonerie romagnole).
Era, infatti, Don Romeo, il raffinato seguace di quel genio, autore de La scienza in cucina: non a caso, ne conosceva a memoria, per puro diletto di sensibilità colta, ogni ricetta della tradizione. Gli riusciva particolarmente bene il suo personale piatto, che fa da titolo all’articolo citato in rivista, Pesce-Mandorlo alla Vastese, ossia Pesscimènnele e pepicucènde a la Do’ Rrumè’.
Il quale si conclude con l’osanna del caso - che perfino i redattori di Milano hanno voluto stampare con fedeltà vernacola -, in versione petroniana: «…Nghi li pridde ti vu’ mátte!».