UN BEL PEZZO DI STORIA DELLA MUSICA ITALIANA A VASTO: ALL'AQUALAND IL CONCERTO DI MASSIMO RANIERI

Massimo Giuliano
18/07/2008
Attualità
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E' il momento di Massimo Ranieri all'Aqualand del Vasto: l'artista napoletano torna in Abruzzo dopo la trionfale doppia data di Pescara per l'unica data estiva del suo spettacolo ''Canto perchè non so nuotare... da 40 anni'', in cui canta, balla e recita raccontando tappe emozionanti della propria vita. Ranieri non interpreta solo i suoi brani più famosi, ma anche i classici della canzone italiana. Il tutto, con un successo pazzesco. Appuntamento domani sera, nell'anfiteatro del parco acquatico di località Incoronata. Lo abbiamo intervistato, raggiungendolo al telefono durante una pausa delle prove del suo tour. Ranieri, lei dice: ''Canto perché non so nuotare... da 40 anni''. Ma come fa un napoletano a non saper nuotare? «Eh eh, diciamo che con il tempo, invecchiando, ho imparato a farlo! A parte gli scherzi, tutto nasce da un disco che ho voluto realizzare per i miei quarant'anni di musica: ci ho messo tutti i miei successi, ma anche alcuni fra i brani d'autore più belli degli ultimi decenni. Alcuni li cantavo da piccolo tra i tavolini dei bar di Napoli, altri avevo sempre sognato di interpretarli. Poi è venuto lo spettacolo dal vivo, ed eccoci qua». Tra gli artisti che ha voluto omaggiare figurano anche Franco Battiato e Mia Martini. «Sì, di Battiato ho riletto ''La cura'', mentre di Mimì ho reinterpretato ''Almeno tu nell'universo''. Diciamo che ho scelto tra tutto ciò che mi emozionasse. Anche dal vivo è così. In scena con me, poi, ho voluto un'orchestra di sole donne ed un corpo di ballo sempre completamente al femminile: sono tutte persone straordinariamente sensibili». Lei si sta togliendo delle belle soddisfazioni con questo spettacolo: ovunque va, fa il tutto esaurito. E dire che 20 anni fa, quando è riapparso sulle scene, aveva faticato a rientrare nel giro... «E' vero. A 24 anni ho abbandonato tutto: non ci credevo più, mi sembrava assurdo dover andare avanti rimanendo sempre legato ad una canzone di successo. Ero ''stanco'', mi sentivo vecchio, volevo staccare la spina. Sentivo l'esigenza di fare nuove esperienze. Il problema fu che pensavo di poter rientrare dopo 10 anni, e invece ne ho trascorsi 20 rinchiuso nei teatri perché trovavo sempre la porta chiusa. Ma anche questo è servito». Il pubblico, però, non l'ha mai abbandonata. «Assolutamente. Alla fine rientrai sulle scene e vinsi il Festival di Sanremo del 1988 con ''Perdere l'amore''. Bene, oggi ai miei concerti trovi la generazione ''Rose rosse'' e la generazione ''Perdere l'amore''. Ancora più bello è vedere che ci sono la nonna, la mamma e la figlia. Mi piace pensare che ai concerti io mi ritrovi tra amici. Non è ''il pubblico'' che viene a sentirmi: sono degli amici veri e propri». Cosa ne pensa della musica d'oggi? «Credo che ci sia una grossa differenza rispetto al passato. Prima, quando si dava a qualcuno la possibilità di fare un disco, si perseverava anche se i primi album non vendevano tanto. Si dava, cioè, ad un cantante il tempo di crescere e maturare. Oggi invece, immersi sempre più come siamo in una società consumistica, dobbiamo ''consumare'' anche gli artisti. Se non fai centro al primo colpo, vieni fatto fuori. In questo modo, però, i giovani non hanno l'opportunità di esprimersi appieno». Prima, insomma, erano altri tempi? «Si agiva in maniera diversa. Veniva pubblicato un singolo, poi un altro, e, se era andata bene, arrivava il disco. Voglio dire, cioè, che l'album non usciva subito, come invece accade adesso. Credo fosse meglio così: il pubblico deve conoscere la tua storia, devi dargli il tempo di scoprirti. Non bisogna avere fretta. E poi c'è anche un discorso di ''idoneità degli argomenti'' da trattare nelle canzoni». Cosa vuole dire? Può spiegarsi meglio? «Faccio un esempio specifico: a me non volevano far cantare ''Rose rosse'' perché dicevano che non avevo l'età. All'epoca, infatti, ero molto giovane, e si chiedevano come potesse fare un ragazzino a cantare l'amore. Oggi invece si fa cantare agli artisti qualunque cosa, e non sempre questa è una scelta giusta».

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