Un tracollo senza fine. La causa principale sta tutta nella scelta degli imprenditori della sanità privata di applicare diversi contratti di lavoro, ognuno al ribasso, ognuno con retribuzione basse e diritti negati. Questa scelta imprenditoriale oggi non funziona più. Infatti molte strutture socio sanitarie, RSA, RA, CSSA si trovano sull’orlo dell’implosione ed il rischio stavolta è che molte strutture socio-sanitarie e residenze per anziani che ospitano persone non autosufficienti, pazienti fragili con pluri patologie, rischiano che si accartoccino praticamente su se stesse, perché private del loro pilastro più solido: gli infermieri.
In tantissime Regioni le pessime condizioni contrattuali garantite agli infermieri e l’elevato carico di lavoro in questo periodo di emergenza Covid stanno spingendo tantissimi infermieri al licenziamento in massa da queste strutture, rinunciano ad un contratto a tempo indeterminato per accettare un contratto a tempo. Una vera e propria emorragia che non risparmia neanche l’Abruzzo, un esodo dalle strutture di assistenza che aggrava una situazione già problematica a causa dell’emergenza Covid.
In Italia infatti, secondo le stime, mancano più di 50 mila infermieri, di cui 30 mila proprio sui territori. Non a caso, ad incentivare la loro fuga non sono solo i numerosi bandi pubblici emessi dalle aziende sanitarie locali che puntano a rimpinguare le proprie risorse, ma anche le condizioni economiche dei numerosi contratti applicati nel settore della sanità privata, una giungla di contratti ognuno al ribasso, ognuno con retribuzioni basse e diritti negati.
Questa scelta non funziona più e gli infermieri, dopo anni passati ad essere costretti ad accettare condizioni contrattuali non in linea con la loro professionalità le loro competenze, il loro lavoro, stanno abbandonando le strutture socio sanitarie. Non è possibile che il personale sanitario che ha lavorato in prima linea durante la battaglia contro il Covid 19, non abbia ricevuto un euro di indennità, un bonus, nulla. Non è possibile che un infermiere che lavora 26 giorni al mese percepisca uno stipendio di 1.200 euro al mese. Su questi numeri gli imprenditori della sanità privata e anche la Regione che concede gli accreditamenti, dovrebbero riflettere. E se non si interviene immediatamente il rischio è che presto possiamo trovare diverse strutture impreparate qualora i contagi dovessero riprendere a crescere. Una questione allarmante soprattutto tenendo conto del fatto che, per l’ultimo report redatto dall’Istituto Superiore di Sanità, all’interno delle case di riposo in cui sono presenti ospiti Covid o sospetti tali, va garantita la presenza di infermieri 7 giorni su 7 e 24 ore al giorno.
Una situazione potenzialmente esplosiva su cui servirebbe che la Regione Abruzzo e le Asl intervengono prima che si tramuti ancora in tragedia.
Daniele Leone Coordinatore Regionale CGIL FP Sanità privata convenzionata Abruzzo-Molise