Don Domenico Spagnoli è nato il 28 aprile del 1976 a Strasburgo, dove i genitori si erano trasferiti per motivi di lavoro. All’età di 7 anni la sua famiglia si è tornata a Furci in provincia di Chieti. E’ stato ordinato sacerdote il 29 giugno 2001. Per dieci anni è stato al servizio della curia vescovile e del seminario d’Abruzzo e Molise. Dal 2011 è parroco della chiesa di Santa Maria Maggiore di Vasto. Di seguito una breve intervista
Come è nata la sua vocazione?
Fondamentalmente in parrocchia. Io avevo una predisposizione con la musica e siccome nella chiesa di Furci nel periodo in cui frequentavo la prima media serviva un’organista, mi resi disponibile a questo servizio. Il fatto di dover andare a messa per suonare mi ha fatto crescere nella costanza ai sacramenti e nell’ approfondimento della fede grazie al parroco don Michele Carlucci, che era anche il mio professore di religione alle scuole medie. Frequentando spesso la parrocchia ho avuto modo di confrontarmi con famiglie e persone che avevano conosciuto Gesù. Un giorno l’Unitalsi aveva organizzato una giornata in parrocchia molto intensa e io ero stato chiamato a servire gli ammalati. Ero solo un quattordicenne ma in quella occasione ebbi modo di vivere la bellezza della gratuità del servire l’altro. Un concorso sulla figura di san Giovanni Bosco e l’attaccamento del mio paese al Beato Angelo da Furci mi hanno introdotto al desiderio di una vita bella non solo per me stesso ma anche per gli altri. Mi interrogavo costantemente su quale poteva essere la mia strada per essere felice. Finite le superiori ho voluto seguire il percorso del discernimento vocazionale. Don Michele aveva intuito questa mia propensione ma non mi aveva mai detto niente.
Cosa ha significato il seminario per lei?
Un posto bello dove mi sono sentito subito a casa anche se con gli alti e i bassi della vita. I sette anni di seminario sono periodi di cammino e di verifica umana prima che spirituale perché la decisione sul sacerdozio deve essere libera, consapevole e totale. In questo periodo ho avuto modo innanzitutto di confrontarmi con me stesso, la mia lotta interiore e le mie fragilità ma ho anche scoperto che con il vangelo la mia gioia era piena e appagava il mio desiderio di pienezza. Gesù sussurra non s’impone e lo fa con lo stile dell’innamorato. Alle fine del mio interrogarmi ho detto a Dio “Io non so perché mi hai scelto ma mi fido di te”.
Qual è il senso dell’”essere” sacerdote?
Io amo profondamente la “Chiesa” e l’essere un sacerdote significa ogni giorno rispondere alla chiamata “Vieni, seguimi, stammi dietro, non fare da solo, sono sempre con te.” Dopo dieci anni di servizio in curia sentivo forte il desiderio di avere una mia comunità e il primo giorno da parroco l’ho vissuto un po’ come le coppie vivono la luna di miele. Ogni comunità è una comunità a sé a volte si può essere necessario mettere da parte le proprie aspettative, osservare la realtà e poi agire e mettendosi sempre nell’atteggiamento dell’essere pronti a correggersi perché le persone vengono sempre prima dei progetti. Con il tempo si vedono i frutti. Nella mia attuale parrocchia da una parte ho ereditato i frutti buoni dei miei predecessori don Decio D’Angelo e don Andrea Sciascia e dall’altra sta nascendo una nuova fioritura grazie a i tanti compagni di viaggio della parrocchia e alla collaborazione con l’altro parroco della chiesa di san Giuseppe don Gianfranco Travaglini. Collaborazioni che vengono alimentate da umiltà e pazienza e continuando ad amare le persone anche quando possono deluderci con il cuore di un padre. La parrocchia richiede anche che il suo pastore si debba occupare degli aspetti pratici come la manutenzione della chiesa e lo sbrigo degli aspetti burocratici perché, oltre alle responsabilità delle anime affidategli ha anche la responsabilità amministrativa della Casa del Signore. Anche nell’avvalerci di collaboratori bravi e competenti noi sacerdoti cerchiamo di farlo con lo stile del buon “padre di famiglia”. La sfida più difficile ma anche più bella è quella educativa con i giovani. Bisogna avere tanta pazienza. Oggi nei figli dei fidanzati che ho cominciato a seguire quando sono arrivato posso constatare che il passaggio di Dio non lascia mai indifferenti e se facciamo trovare una comunità accogliente molti sceglieranno di restare e di far parte di quella comunità. La chiesa deve essere la casa di tutti e dove ognuno deve potersi sentire a suo agio.