Cinquanta Tir al giorno, ventimila in un anno, per trasportare mezzo milione di tonnellate di clinker, calcare e gesso di cava. E’ questo scenario possibile, polveri sottili nell’aria derivanti dal movimento degli automezzi comprese, a far mettere l’elmetto ad ambientalisti e comitati, pronti alla guerra preventiva contro lo stabilimento di Punta Penna a Vasto, negli auspici della Es.cal., la società che lo ha ripreso, destinato all’insacchettamento di leganti idraulici.
Una finezza linguistica legittima, per carità, ma che secondo chi si oppone va tradotta in una parola sola: cemento. Cemento da movimentare molto vicino, se non dentro la fascia di rispetto della riserva naturale di Punta Aderci, la zona cuscinetto che, faticosamente concepita con la nascita dell’area protetta, dovrebbe armonizzare, facendole convivere, area industriale e paradiso della natura.
Mission sempre più impossible, a quanto pare, visto il fuoco di sbarramento di combattive associazioni, prontissime a reagire ogni qualvolta s’intraveda un futuro ritenuto, non a torto, incompatibile tra ambiente e industria a Punta Penna.
A dire di no, va detto, ci sono stavolta anche gli operatori turistici che hanno investito poco lontano e che faranno valere le loro ragioni. In tutte le sedi. Così come, è prevedibile, farà la Es.Cal., che il suo progetto l’ha fatto e presentato secondo legge e che ora attende un sì o un no.
Nel rispetto delle parti, una cosa va ricordata, ancora una volta, ai giocatori in campo, ma anche all’arbitro, se c’è: a Punta Penna, oltre alla riserva, ci sono un porto e un’area industriale. Che piaccia o no. Ci piacerebbe sentire, già da questa campagna elettorale, cosa ne pensano gli aspiranti al seggio parlamentare.
Domande, quelle che seguono, che faremo fra qualche mese, quando, verosimilmente, torneremo a votare per la Regione: si può spostare il sito produttivo altrove, magari in Val Sinello? C’è o non c’è uno studio vero che, cifre alla mano, dica con chiarezza quanto costerebbe? E a carico di chi? Quanto vale il reddito pro capite generato in quella zona dal turismo verde e quanto quello dell’industria? Quanti sono i dipendenti che portano a casa lo stipendio, tra stagionali e fissi?
Ecco, quesiti semplici, su cui imbastire un confronto serio tra Confindustria, operatori turistici, Comune di Vasto e ambientalisti. Senza dimenticare i cittadini senza casacca. Per capire se spazi per nuovi opifici attorno alle banchine ce ne siano oppure no. La prospettiva, altrimenti, sarà quella del permanente equilibrio instabile. E fragilissimo. Quello stesso che da decenni anima un dibattito sempre uguale e, quel che è evidente, senza soluzione, senza vinti né vincitori.