Michele Gazich: “Suono a ogni concerto come se fosse l’ultimo"

Maria Napolitano
29/04/2016
Personaggi
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Michele Gazich è un artista con la A maiuscola di calibro internazionale e che da circa dieci anni suona a Vasto grazie a delle belle storie di amicizie nate con persone del posto. Quest’anno per la prima volta suonerà anche a San Salvo. Si esibirà stasera alle ore 21.30 in piazza San Vitale insieme a Jacopo Pellicciotti, Marco Lamberti, storico collaboratore di Gazich, e Lara Molino, con un proprio specifico contributo.

L’incontro con l’altro non è mai casuale e a volte ognuno di noi diventa uno strumento per far incontrare altri. Ieri mattina ho incontrato questo grande artista insieme a sua moglie Alice Falchetti e al suo chitarrista Marco Lamberti  grazie alla cantautrice sansalvese Lara Molino.

Con molta disponibilità mi ha rilasciato questa bellissima intervista.

 

Come e quando è nata la tua musica?

I miei genitori, entrambi insegnanti universitari, mi hanno avviato allo studio del pianoforte sin da piccolo. A 7 anni mia nonna mi ha regalato un violino poiché in qualche modo era uno strumento che identificava le origini croate della famiglia. All’inizio per me era come un gioco, poi con l’arco di poco tempo è diventato  una vera e propria passione.  A 10 anni ho iniziato il conservatorio. Ero e sono affascinato dalla capacità di questo strumento di prestarsi sia alla musica dei colti (è uno strumento principe della musica classica) che a quella popolare (basta pensare alla musica gitana, etnica, folk etc). Ogni volta che appoggio lo strumento nella mia spalla sento vibrare entrambe queste anime. È il violino stesso che mi insegna il senso più profondo della musica. Durante il mio percorso formativo cercavo dentro di me entrambi questi aspetti. Dopo qualche anno, i miei genitori, vedendo che facevo sul serio, mi hanno comprato un violino di qualità che aveva già cinquant’anni e che tuttora è il mio fedele compagno di viaggio nei miei concerti in tutto il mondo. Finito il conservatorio e gli studi della facoltà di lettere ero entrato stabilmente nell’orchestra di Torino e mi stavo avviando al concorso per diventare un professore ordinario universitario. Quando suonavo con l’orchestra nei grandi teatri (sfoggio dello sfarzo degli amanti di pellicce e gioielli) sentivo il desiderio di suonare per un pubblico molto più ampio. E così mi sono licenziato dall’orchestra e nello stesso giorno in cui dovevo fare il concorso per entrare stabilmente nella carriera universitaria ho preferito andarmene a suonare a Ney York con Eric Andersen, che è uno storico dei cantautori. Mia mamma quasi mi maledisse per aver lasciato il certo per l’incerto! Quando ho suonato a Milano al teatro Orfeo, il 30 maggio del 1992, mixando il classico e il popolare mi sono accorto che il pubblico mi ascoltava con piacere. In quel momento ho capito che quella strada era percorribile. Ho molto amato stare a lato e ascoltare chi era più bravo di me e questo mi ha portato a imparare molto da queste persone e nel tempo mi ha giovato molto.

Hai mai avuto momenti di pentimento quando hai lasciato il certo per l’incerto?

Non mai perché sentivo che era qualcosa che dovevo fare. All’inizio è stato molto difficile, riuscire a vivere di musica era ed è sempre stato molto difficile ma il tempo mi ha largamente ripagato. Mi ritengo un po’ un miracolato nel riuscire a vivere con un lavoro che amo tantissimo e mi permette di ricevere, soprattutto da un punto di vista umano, molto di più di quello che do. Il mio lavoro mi permette di incontrare tante persone dai principi della terra alle persone più semplici. La mia arte è l’arte dell’incontro perenne con gli altri e dell’apertura ad altri mondi. L’”incerto” sicuramente è un mondo meno compatto,  più frastagliato, più interessante e imprevedibile e che continua a insegnarmi sempre cose nuove.

Dal tuo profilo e da molte tue canzoni si evince che sei un uomo di fede, com’è nato il tuo credo e qual è il suo rapporto con Dio? Hai vissuto momenti bui di fede?

Posso dire che questa dimensione spirituale mi ha sempre accompagnato insieme alla musica.  Ho sempre pensato che se da me usciva qualcosa di buono  non era grazie a me ma malgrado me. Ogni giorno è un miracolo nel poter procedere in ciò che sto facendo. Ho un grande interesse per il linguaggio della Bibbia che ha influenzato la mia scrittura e a cui torno con misteriosa fedeltà quotidianamente. Dio è vicino ma difficile da afferrare. Dove cresce il pericolo cresce ciò che salva. La fede è sempre segnata da timore, dubbio e incertezza. Non vi è una marcia trionfale. Come ho scritto nella mia canzone “Guerra civile” (contenuto nell’album Verso Damasco e con cui apro spesso i miei concerti) “Dio sopravvive nelle crepe dei centri commerciali”.

Quando scrivi, una canzone e o delle musiche, come nascono le tue ispirazioni? Ti estranei qualche volta dalle tue opere e riesci a esprimere un giudizio?

Io porto sempre con me un quadernino per scrivere ed è un lavoro che faccio, assiduamente, ma in alcuni momenti mi accorgo che avviene qualcosa per la quale non esiste una regola e che ha davvero il sapore del miracolo che prescinde completamente da me e dalla mia quotidianità. Costantemente giudico le mie opere sempre migliorabili.

C’è una canzone che ti identifica e a cui sei particolarmente legato?

Sì è “Il latte nero dell’alba”, contenuto nell’album “Verso Damasco”.

C’è un luogo, una serata, un concerto che ti è rimasto nel cuore?

Posso dirti i luoghi più noti dove ho suonato e ce ne sono stati tantissimi, anche davanti a principi, re e capidi governo ma non ho una predilezione particolare perchè vivo ogni concerto molto intensamente e con grande emozione perché lo vivo come se fosse l' ultimo. 

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