Natalino Sozio, quando la determinazione e la passione fanno la differenza

Maria Napolitano
12/12/2016
Personaggi
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Natalino Sozio è la dimostrazione vivente che quando si fa qualcosa con determinazione e passione si ottengono sempre buoni frutti. Molti di lui dicono “tutto ciò dove ha messo mano è diventato oro”. Durante un'intervista per un’altra storia di vita era uscito il suo nome perché era andato a trovare una sua dipendente malata fino a Parma e le aveva fatto sentire la sua vicinanza. Quante volte abbiamo sentito parlare di un datore di lavoro che ha a cuore la vita di un suo operaio? Ed ecco che è nato il desiderio di questa intervista e di cui riporto un'estrema sintesi .

Ci sono avvenimenti particolari che hanno segnato la sua vita?

Ce ne sono tanti ma di sicuro aver conosciuto la guerra quando avevo solo tre anni mi ha segnato in maniera molto incisiva. Ricordo un giorno in particolare in cui il cielo si era quasi completamente coperto per uno “stormo di aerei” che poi ho scoperto andavano a bombardare Isernia. Capracotta, mio paese di origine, per sei mesi ha vissuto gli orrori del fronte, i tedeschi che arretravano in ritirata e gli inglesi che incalzavano da dietro. I tedeschi, per non lasciare cose che potevano essere utili agli inglesi, incendiavano tutto. Capracotta è stata distrutta e i suoi abitanti sono diventati degli sfollati e la mia famiglia ha vissuto in quel periodo a Fresagrandinaria. Noi bambini, un po’ incoscienti, vivevamo quell’esperienza come “l’avventura di andare fuori”. Quando avevo poco più di 8 anni siamo riusciti a tornare nel nostro paese e ho potuto cominciare a frequentare la prima elementare. In quinta avevo orami 13 anni e quindi era arrivata l’ora di dover imparare un mestiere e sono andato da un mastro artigiano che mi ha insegnato l'arte del rivestimento e decorazioni di pareti, tendaggi e altri lavori del settore. All’epoca non era l’apprendista che veniva pagato ma era la famiglia di chi imparava che dava qualcosa al mastro.

Ha continuato poi questo lavoro?

A 18 anni il mastro mi ha portato a lavorare prima a Napoli e poi a Roma, eravamo degli artigiani specializzati e conosciuti. Arrivata l’eta del militare, sono partito e ho fatto il carro Bari e poi sono andato prima a Pavia e negli ultimi 9 mesi a Milano dove ho conosciuto un architetto che era in ritardo con il militare per via della laurea e che insieme a tanti altri ha avuto modo di apprezzare la mia arte in occasione dei festeggiamenti dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate del 4 novembre.  Mi sono congedato a Natale del 1961 e all’Epifania del 62 sono tornato a Milano perché avevo trovato lavoro tramite il tenente cappellano dell’esercito nel mio settore. Ci sono rimasto per sei mesi. Grazie all’architetto che avevo conosciuto durante il periodo del militare ho aperto un mio laboratorio e lavoravamo non solo a Milano, ma anche fuori Saint Moritz e Cannes. Durante la mia permanenza a Milano mi sono sposato con una ragazza del mio paese, e ho avuto anche i miei due figli. Stavo benissimo, mi ero affermato professionalmente e la città offriva ogni tipo di svago ma col tempo si impara ad avere una visione più ampia della vita e avevo il piglio di tornare giù.

Qual è stata poi l’occasione di tornare giù?

Lavorando con i vari architetti, ho conosciuto un geometra di Vasto (zona che non conoscevo per niente) Nicola D’Ambrosio e che mi diceva sempre che aveva un ristorante a Vasto marina, “La Bitta” e che stavano progettando di aprire un nuovo ristorante a San Salvo insieme a un altro socio. Siccome quel socio si è ritirato, mi ha proposto di subentrare io. Dopo essermi confrontato con la mia famiglia nel gennaio del 71 abbiamo sottoscritto il contratto ma dopo un paio di mesi anche D’Ambrosio si è ritirato. Era tutto in fase embrionale ma io ero già entrato nell’ottica dell’attività di ristoratore e così mi sono ricomprato la sua quota e ho portato avanti quel progetto. Per un anno e mezzo facevo entrambi i lavori e ogni settimana tornavo giù per controllare e pagare i dipendenti. All’epoca a san Salvo marina non c’era niente ma ci ho creduto nonostante tutto perché c’erano delle buone premesse, il mare, una statale 16, la previsione di un casello autostradale. Avevo assunto un mio cugino cuoco che aveva maturato la sua esperienza a Roma e due camerieri. Nel 1972 ho chiuso il laboratorio di Milano e ci siamo trasferiti definitivamente a San Salvo. Gli architetti di Milano mi avevano aiutato a scegliere l’arredamento e le pitture e il papà di uno di questi anche a trovare il nome “La Poppa”. Il primo giorno che abbiamo aperto, su suggerimento di un mio architetto, abbiamo detto “mettiamo un tavolo apparecchiato fuori con un fiasco di vino sulla strada e il primo camionista che passa lo invitiamo” e così è stato. Nell’arco di due tre anni il ristorante si è ben affermato ed era diventato un punto di riferimento. La zona si è riempito di palazzi e si è costruita una bellissima comunità molto compatta intorno alla neonata chiesa R.N.S.G. Recitavo anche nei vari teatri che organizzavamo in parrocchia. Sono sempre stato molto espansivo e in quell’ambiente mi sentivo come un pascià. Avevamo 18 dipendenti ma non avevamo neanche un po’ di tempo libero e siccome avevamo figli piccoli abbiamo voluto fare una scelta di vita cambiare attività. Il ristorante anche se l’ho dato prima in gestione e poi ceduto molto avviato, chi l’ha ripreso non ci si è impegnato e alla fine è stato chiuso. 

Quali erano le vostre specialità?

Le nostre specialità era l’agnello e i formaggi di Capracotta, risotto alla milanese e tanti altri piatti. Facevamo sia carne che pesce, e abbiamo ospitato tantissimi matrimoni anche perché all’epoca i ristoranti così grandi in zona erano pochissimi.

Com’è arrivato poi ad avviare una fabbrica di bandiere?

Cercavo comunque un’attività in proprio ma più a misura di famiglia. Nel scervellarmi sul da farsi ho avuto un flash. Quando stavo a Milano vicino a dove abitavo si teneva la fiera campionaria annuale e io restavo affascinato dalle varie bandiere che abbellivano la facciata. Ho cominciato a fare una piccola ricerca di mercato e a inviare lettere (che tuttora conservo ben catalogate) ai vari stati sulla nascente fabbrica di bandiere. Dopo aver avuto diversi riscontri ho intrapreso questa nuova avventura.

Quali sono i lavori che le hanno dato maggiori soddisfazioni fino a oggi?

Uno dei lavori più importanti che ho fatto all’inizio è stato nel 1983 in occasione della visita di papa Giovanni Paolo II. Ho realizzato tutte le bandiere che hanno sventolato in quel memorabile giorno. Nel 1987 ero entrato nello stadio di Roma e avevo lasciato il mio biglietto da visita e grazie a questo sono diventato il rifornitore ufficiale del campionato mondiale di atletica leggera che si è tenuto in quell’anno. Sono stato il rifornitore ufficiale delle bandiere dei mondiali di calcio di Italia '90. Nel 2011, in occasione del 150° dell'Unità d'Italia, la Presidenza del Consiglio mi ha onorato con l'esclusiva per la commercializzazione della bandiera creata con il logo appositamente studiato per l'occasione. Ho realizzato e realizzo bandiere per eventi di portata regionale, nazionale e mondiale.

Quali sono i suoi maggiori punti di forza?

Di sicuro la determinazione e l’essere affiancato da una famiglia che è sempre al mio fianco a cominciare da mia moglie Enza Buccigrossi.

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