Quali sono i rischi politici ed economici per l’Italia e l’Europa derivanti dal nuovo inquilino della Casa Bianca?
Cominciamo da come Trump è stato eletto segnalando che, in totale, ha preso 2 milioni di voti in meno rispetto alla Clinton (62,3 milioni contro 64,4). Il sistema di voto americano, essendo strutturato in base ad un voto per stati, permette questo (era già successo ai tempi dell’elezione di Bush contro Al Gore che prese mezzo milioni di voti in più) anche se era dall’Ottocento che il candidato perdente non infliggesse un simile distacco al futuro eletto, a testimonianza di come il paese sia alquanto spaccato su questa elezione. Andando a vedere poi in dettaglio si scopre che se tre stati come Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, dove il divario totale dei votanti tra i due candidati arriva a poche decine di migliaia di voti, fossero andati alla Clinton, quest’ultima sarebbe ora presidente.
Un primo dato numerico inconfutabile è che in USA, la più grande democrazia del mondo, ha vinto e governa una minoranza o, potremmo meglio dire, c’è un presidente che governa grazie al supporto di una minoranza a cui egli ha saputo rivolgersi in maniera più convincente. Chi sono allora queste poche migliaia di persone, in totale una città come Vasto, che hanno deciso un voto così importante e quale impatto possono avere su centinaia di milioni di europei dall’altra parte dell’Atlantico?
Perché sono così importanti per noi? Una prima risposta è che somigliano molto a minoranze e forse anche a maggioranze di persone che abbiamo anche in Europa.
Si tratta di quei cittadini che si vedono esclusi dal processo di arricchimento della nazione americana, che gli effetti della globalizzazione hanno impoverito, spostando ricchezza verso altri settori o nazioni del Sud-est asiatico. Sembra di sentire cronache nazionali di fronte a queste problematiche eppure, pensiamoci bene, le proporzioni sono diverse e preoccupanti. Il PIL in termini reali negli USA è cresciuto dell’1,6% nel 2016 e del 2,6% nel 2015, la disoccupazione è sotto il 5% mentre Wall Street continua a fare record su record, raggiungendo i massimi storici. Una situazione economica assai rosea quindi…eppure Trump è stato eletto sullo scontento, sulla protesta di quelle minoranze che di tutta questa ricchezza non vedono nulla, anzi che sono più povere di prima. Confrontiamo i dati con l’Italia: crescita nel 2016 dell’1% dopo anni di crescita zero o recessione, disoccupazione al 12%, debito al 132% del PIL, borsa valori depressa e politica monetaria accomodante della BCE che continua a comprare i BTP italiani per fortuna, permettendo di non fare esplodere la spesa sugli interessi di un debito statale tra i più alti del mondo. E’ facile intuire come quelle minoranze escluse da un processo di redistribuzione della ricchezza e toccate dagli effetti settoriali della globalizzazione siano molto numerose nel nostro paese, così come in alcuni stati europei, e rischino di diventare maggioranze in Italia ed in Europa tali da portare a cambiamenti politici rilevanti e sulle cui conseguenze è necessario riflettere con attenzione.
Quale conclusione possiamo trarre da quanto detto fin qui? Due conclusioni importanti a mio parere. La prima è data dal valore segnaletico di quanto avvenuto durante le elezioni americane: gli stessi fenomeni che hanno portato Trump ad essere eletto rischiano di essere ancora più forti in Italia ed in molti paesi europei, aumentando l’incertezza sui risultati elettorali dei prossimi mesi. A bene vedere, nonostante si chiami democrazia, sembra che negli USA una minoranza adesso sia passata a governare contro una minoranza precedente, quella dei ricchissimi. La polarizzazione della ricchezza negli USA (ma anche nel resto del mondo), cioè il divario tra ricchi e poveri, come ben ricordato nel best-seller “Il Capitale nel XXI secolo” dell’economista Piketty, ha raggiunto livelli altissimi, simili solo a quelli della Belle Époque. La minoranza dei super ricchi, che in questi anni ha continuato ad arricchirsi, non si è preoccupata minimamente del continuo impoverimento di certe classi sociali ed anche del ceto medio che hanno votato contro il candidato che riteneva espressione dell’establishment, la Clinton. Paradossale che la protesta degli esclusi abbia eletto come paladino del suo riscatto proprio uno dei migliori rappresentati dei super ricchi, un miliardario, il cui programma include un abbassamento delle tasse, anche per i ricchi ovviamente, e grossi investimenti pubblici. Tutte belle cose per l’economia, tutte manovre espansive di politica economica come si direbbe in gergo tecnico, che però rischiano di fare esplodere il debito pubblico americano che è già al 104% del PIL, un livello da monitorare con attenzione.
La seconda, ancora più importante, è che la mancanza di redistribuzione della ricchezza generata a livello nazionale, la mancata riqualificazione dei lavoratori in quei settori colpiti dalla globalizzazione e dai cambiamenti tecnologici, genera le condizioni per soluzioni che possono essere più pericolose degli stessi problemi che si vorrebbe affrontare. “America first” è il motto di Trump, che tradotto significa prima i nostri interessi, gli altri nel mondo si arrangino. La traduzione in provvedimenti concreti si è iniziata già a vedere con annunci di aumenti della spesa militare, tagli agli aiuti all’estero, discipline restrittive sui visti per gli stranieri. Il protezionismo, annunciato come guida della politica economica americana, potrebbe creare gravi danni a paesi esportatori come l’Italia mentre il disimpegno politico e militare americano spingerà per la necessità di maggiori spese militari in Europa ed il rischio di doversela cavare un po’ più da soli per gli europei. Un pericolo ma anche un’opportunità di crescita politica per l’Europa. Di questo parleremo meglio nel prossimo appuntamento…
Alberto Marracino
Consulente finanziario
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