Mentre a Rigopiano si scava senza sosta, giorno e notte, nella neve che ha sommerso l’Hotel Gran Sasso, ed è iniziata sui media e in ambienti giudiziari la consueta caccia ai responsabili del tremendo disastro, è davvero forte l’emozione nel vedere estrarre dalle macerie i sopravvissuti, grazie all’eroico sacrificio dei soccorritori, tutta gente che mette a repentaglio la propria giovane vita in cambio di miserrimi salari, ma che rappresenta di certo la parte migliore del nostro Paese.
In tv scorrono le sequenze delle operazioni di soccorso e si apre la scatola della memoria, tornano alla mente le terribili immagini del giugno 1981, quando a Vermicino, nei pressi di Fiumicino, Alfredino Rampi, un ragazzino come tanti altri, precipitò in un pozzo artesiano e, nonostante gli sforzi profusi dai soccorritori, morì in quel maledetto budello verticale dopo giorni di sofferenze. Fu un dolore immenso per l’Italia intera, che gli adulti non hanno mai potuto cancellare dai ricordi, e che i più giovani apprendono magari proprio in queste ore, ma che ebbe il grande merito di unire l’Italia, dal punto di vista della comunicazione mediatica: sono indelebili per sempre le parole di rabbia e sdegno dell’allora Presidente della Repubblica Pertini e i tentativi improvvisati e malriusciti per recuperare quel povero bambino dal fondo di quel pozzo. Da allora, sono passati tanti anni, ma oggi, davanti agli schermi tv, sembra ancora di rivivere, come in un flash back, quei tristissimi giorni.
Si scava, proprio in queste ore, per cercare di estrarre ancora qualcuno vivo dal resort, e già si polemizza sui permessi edilizi, sulla posizione della struttura, sullo spazzaneve atteso e mai arrivato perché senza gasolio, sui tempi dei soccorsi, sugli elicotteri della Forestale bloccati (sì, no, forse) a terra dalla riforma che ha cancellato il Corpo assorbendolo nei Carabinieri.
A me e, credo, a tutti, però, in questo momento profondamente lacerante, preme la salvezza di quelli ancora dispersi tra le macerie sepolte da metri di neve; vorrei trovare, ma non ci riesco, una parola di conforto per il piccolo Edoardo che ha perso entrambi i genitori, e per le famiglie di tutti gli altri che sono periti in questa tragedia nazionale.
Primo Levi scrisse un saggio, che s’intitolava “I sommersi e i salvati”, dedicato al dramma dei sopravvissuti ai lager: quello di Farindola non riguarda ebrei e SS, ma giovani, donne e bambini. Quale Fato ha voluto decidere chi fossero i “sommersi” e chi “i salvati”? C’è chi parla di miracolo e chi di destino crudele: in entrambi i casi, è imprescindibile la riconoscenza collettiva nei confronti di chi – Finanzieri, Soccorso Alpino Speleologico, Carabinieri, Vigili del Fuoco e Protezione Civile – a spregio della propria vita, ha salvato tutti quei “sommersi”.