Il sovraffollamento delle carceri abruzzesi

E' possibile attuare la finalità rieducativa dei detenuti?

Claudia Castelli
23/09/2016
Attualità
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Pessima condizione quella delle carceri in Abruzzo, e per di più con grave carenza di personale.

Ottime le attività di rieducazione, ma pochi i fondi a disposizione. Il sovraffollamento delle case di reclusione è una realtà cruda e difficile da sopportare per gli innumerevoli detenuti. Questa è la situazione negli otto carceri presenti sul territorio abruzzese, quelli di Avezzano, L’Aquila, Lanciano, Pescara, Sulmona, Teramo e Vasto, monitorata dall’associazione Antigone, che dal 1995 è autorizzata dal ministero della Giustizia a visitare tutti i 205 istituti di pena italiani.

Il sovraffollamento crea atmosfere pesanti all’interno delle carceri sia per quanto riguarda la condizione esistenziale dei detenuti sia per l’eccessivo carico di lavoro che le guardie penitenziarie si trovano a dover quotidianamente affrontare. Negli ultimi anni nelle otto carceri abruzzesi si sono registrati 8 casi di suicidio, 31 di tentato suicidio e 118 di autolesionismo.

Altra problematica riguarda i percorsi lavorativi, i quali non trovano vita a causa della scarsità di risorse e spazi adeguati.

Il carcere di Vasto, per esempio, nel 2013 è diventato Casa di lavoro, e vi vengono trasferiti tutti gli internati soggetti alla misura di sicurezza detentiva ristretti a Sulmona. A mancare sono le risorse economiche utili a garantire la retribuzione minima ai detenuti. Non bisogna dimenticare che nel carcere dell’Aquila sono presenti carcerati che sono sottoposti al regime del 41 bis, il cosiddetto carcere duro previsto per reati di mafia e terrorismo. E proprio qui che crescono le difficoltà…

Nel supercarcere aquilano Francesco Schiavone, cugino dell’omonimo e più noto esponente della camorra conosciuto come “Sandokan”, ha tentano il suicidio per ben due volte. Nello stesso istituto nell’ottobre del 2009 si è suicidata la brigatista rossa Diana Blefari. L’attuale art. 1 dell’Ordinamento Penitenziario statuisce che: "Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona. Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose. Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti". Occorre ricordare che il comma 2-quater dell'art. 41- bis prevede che “i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione» siano «ristretti all'interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all'interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell'istituto”.

La sfida più grande resta una sola: è davvero possibile attuare una concreta rieducazione dei detenuti?

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