'Per un laico credere vuol dire interrogarsi': Cacciari verso l'incontro di Vasto

Martedì il dialogo con il vescovo Bruno Forte all'auditorium San Paolo Apostolo

a cura della redazione
08/03/2014
Attualità
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Appuntamento martedì 11 marzo, all'auditorium San Paolo Apostolo di Vasto, dalle ore 19, per l'incontro sul tema "La ricerca di Dio" che si concretizzerà in un dialogo tra il vescovo della diocesi di Chieti-Vasto e teologo, monsignor Bruno Forte, ed il filosofo Massimo Cacciari.

"Un tema che ci appassiona tutti, credenti e non credenti - sottolinea il parroco di San Paolo e vicario per Vasto, don Gianni Sciorra -; è la domanda che inquieta gli uomini che si interrogano sul senso della propria vita, sul perché di questo mondo e sul destino che ci attende".

Di seguito, in un'intervista di Titti Marrone, il pensiero di Massimo Cacciari su alcuni passaggi che verranno toccati nell'incontro di Vasto.

"PER UN LAICO CREDERE VUOL DIRE INTERROGARSI" - Raramente si è parlato tanto di fede e mai c’è stata tanta guerra. E alla ricerca di un punto di vista laico che ci aiuti a comprendere questo paradosso, interpelliamo un «cercatore di significati» come Massimo Cacciari.. Che, laicamente, precisa subito che «la parola fede di per sé non è un termine in contrasto con guerra, non ne è l’opposto. Dunque non è detto che la fede produca pace».

Verissimo, anzi nella storia la fede ha prodotto anche fanatismo, intolleranza. «Sì - prosegue Cacciari - Ma nelle diverse culture, la categoria di fede rinvia a significati assai diversi. Per la religione islamica, sia nella tradizione sunnita che sciita, è obbedienza della legge, rispetto dei comandamenti fondamentali. Per il Cristianesimo, invece, si è salvi per fede». Quindi, L’Islàm vede la fede come adesione a un progetto sociale, politico, culturale e religioso. Un progetto molto esigente. «Mica tanto. Preghiera e pellegrinaggio possono essere anche sostituiti con l’elemosina. L’Islàm è realistico sulle capacità umane mentre Gesù è assolutamente utopistico.. Il Cristianesimo chiede all’uomo doti soprannaturali per la sua salvezza che l’Islàm non pretende. Ma nello stesso Cristianesimo ci sono atteggiamenti diversi di fronte alla fede: quello intransigente di Lutero non ha a che fare con l’altro che si affermerà nella Chiesa cattolica con la cosiddetta Controriforma».

Ma la cultura laica e la tradizione filosofica come riguardano la fede? «Qui le differenze sono ancora più radicali: da un lato c’è un atteggiamento in senso lato razionalistico, illuministico, per cui la fede è vista quasi come superstizione, dall’altro uno laicistico meno intollerante che la considera una specie di fatto privato, l’esercizio di una libertà di pensiero. C’è poi un punto di vista a mio avviso più serio, che si interroga sulla relazione tra fede e sapere: importante anche per l’Islàm, ma che lì s’interrompe con Averroé, e comunque non dà affatto i frutti che dà nel nostro mondo, come quelli dell’ultima grande stagione dell’idealismo». Questo ci aiuta a capire la nostra contemporaneità? Ad esempio, se le radici dell’odio millenario che infiamma il Medio Oriente siano in fedi contrapposte? «Quel conflitto non ha nulla a che vedere con la fede. Anzi, credo che i fattori specificamente religiosi avessero scarsa valenza anche all’epoca delle Crociate». Come, allora, recuperare un senso universale, cioé anche laico, della fede? «Comprendendo che, almeno nella Cristianità, essa non si è mai opposta alla ragione. Fin da Agostino , e ancor prima, con Clemente e Aurigene, la verità cristiana si è sempre rappresentata come ”indaganda”, come qualcosa che riguardi anche la mente e non solo il cuore. Ma se questo può esser chiaro per il teologo, come si può comprendere la fede anche da un punto di vista filosofico? Io direi, ancora in termini agostiniani, cioé considerando che ogni ricerca presuppone la fiducia nel cercato: non potrei ricercare alcunché se non presupponessi che il cercato esiste. Insomma, anche per il filosofo, la dimensione del credere è quella che interroga ogni momento della ricerca».

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