Il 'Pranzo della Solidarietà' alla Casa di Lavoro: esperienza all'insegna dell'amicizia

Il soddisfatto resoconto della Comunità di San'Egidio per l'iniziativa di sabato a Vasto

a cura della redazione
29/01/2014
Attualità
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Riscontri positivi per la prima edizione del 'Pranzo della Solidarietà', organizzato sabato a Vasto con il coinvolgimento della Comunità di Sant'Egidio, della Caritas diocesana di Chieti-Vasto e della direzione della Casa di Lavoro di Torre Sinello (ex casa circondariale).

Di seguito il resoconto dei rappresentanti della Comunità di Sant'Egidio.

Sabato 25 gennaio: un pranzo offerto dalla Comunità di Sant'Egidio in collaborazione con la Caritas diocesana nella Casa di Lavoro di Vasto dove 200 internati aspettano, per tornare liberi, che qualcuno dia loro un po' di fiducia o un'opportunità di lavoro o una casa, insomma la necessaria accoglienza per ricominciare.

Si parte da Roma, il furgone è carico di regali e cose utili. Eravamo in 70, da Roma, Pescara, Isernia e Vasto per servire il "pranzo dell'amicizia" a una tavola con più di 300 persone, si perché in tanti hanno voluto partecipare alla festa. Il pasto è buono e caldo, proviene da uno dei migliori catering di Vasto. Per la prima volta presente un po' tutta la città: il sindaco, il provveditore alle carceri dell'Abruzzo, l'assessore ai Lavori pubblici, i presidi degli istituti superiori della città, lions, rotary, cooperative sociali, guardia costiera, e tanti altri per partecipare e per vedere e capire quel che normalmente è coperto da un muro e non si sa, non si vede e non si conosce.   

La tavola è allestita in due corridoi interni al carcere che normalmente conducono ai colloqui con i familiari e gli avvocati, i corridoi sono divisi da grandi cancelli, al centro una piccola orchestra per allietare con musiche il tempo trascorso insieme.

Il saluto da parte della Comunità di Sant'Egidio: "Vasto oggi è città per la vita e città dell'amicizia, che lo sia per sempre!" e agli internati "Vi vogliamo bene, vi pensiamo e preghiamo per voi" e un internato ha risposto: "Voi veramente fate la rivoluzione!".

In Italia circa 1.000 persone sono sottoposte a questo regime di sicurezza. La casa di lavoro non è destinata a "detenuti", cioè condannati che scontano una pena per il reato commesso, ma "internati" che hanno finito di scontare la loro pena, ma sono ritenuti “socialmente pericolosi” spesso anche a motivo della mancanza di riferimenti esterni per il reinserimento sociale: casa - famiglia - lavoro. In maggioranza italiani con problemi di tossicodipendenza, alcuni hanno disturbi psichiatrici. L’internamento, in assenza di una valutazione positiva, che dipende anche dalle concrete possibilità di reinserimento, viene prorogato, analogamente a quanto avviene per gli internati negli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari). Chi è assegnato alla casa di lavoro dovrebbe lavorare, ma il lavoro non c’è. Trascorso il periodo di detenzione il giudice può dichiarare persistente la pericolosità sociale proprio per l'assenza di una prospettiva di reinserimento in una casa, di un'offerta di lavoro o di percorsi terapeutici o sociali individuali e fissare un nuovo termine per un esame ulteriore. Il periodo di detenzione in una casa di lavoro non può essere inferiore a un anno, ma viene di volta in volta prorogato, per questo motivo viene da molti definito uno degli ergastoli bianchi.

Babbo Natale arriva in ritardo... ma non si è dimenticato
Per rispondere alla condizione di povertà, alla mancanza di indumenti e di generi di prima necessità, il regalo per tutti conteneva felpe, cappelli, calzettoni e prodotti per l'igiene. Una slitta tutta particolare per Babbo Natale che è entrato seduto sopra il carrello dei pacchi del carcere, tutto rivestito di stoffa rossa. Canti, balli e tanta gioia per una festa che quando è bella finisce sempre troppo presto. Un clima di gioia che ha coinvolto tutti i presenti, nella festa cadono i muri, le barriere e le differenze, pur tanto grandi, tra le persone. Al momento di salutarsi le strette di mano non finivano mai, tanta voglia di ringraziare, di commentare e la richiesta di tornare ancora.

Dopo la festa un momento finale di saluto tra i volontari, la Polizia Penitenziaria e la direzione, un brindisi per non dirsi addio. Il responsabile della Caritas diocesana ha detto ai tanti di Sant'Egidio che si preparavano a ripartire: "Voi oggi avete acceso il fuoco! ora noi che restiamo dobbiamo continuare!".

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