Attesa e speranza sono diventate rabbia ed esasperazione.
Sabato mattina gli ex-dipendenti della Golden Lady hanno presidiato lo stabilimento in Val Sinello a quasi un anno dalla firma degli accordi di riconversione.
Allora la fase critica sembrava alle spalle. Così non è stato.
Alcuni sono passati dal licenziamento di Nerino Grassi a quello dei fratelli Cozzolino, proprietari della New Trade di Prato che – sulla carta – avrebbe dovuto riassumere 115 operai (40 dei quali poi andati in mobilità), oggi rimasta con solo 12 dipendenti. Gli altri, licenziati. C’è chi dopo neanche un mese di prova, altri, invece, al rientro dalle feste natalizie hanno trovato i cancelli chiusi e, ulteriore beffa, non ricevono ancora lo stipendio del periodo ottobre-dicembre.
A cercare di dare qualche risposta ai manifestanti ci sono i tre sindacalisti protagonisti della lunga vertenza: Giuseppe Rucci (Cgil), Franco Zerra (Cisl) e Arnaldo Schioppa (Uil). Delle istituzioni regionali e provinciali e dei sindaci del circondario neanche l’ombra. I sindacati hanno spedito loro una richiesta d’incontro per trovare una via d’uscita, ma da due mesi non c’è risposta. Tocca, quindi, a loro affrontare l’esasperazione di chi la via d’uscita non la vede. «Non arriviamo a fine mese – urlano dal presidio – cosa mangiamo? Dobbiamo andare a rubare? Non dovevate tutelarci?». Gli ex-dipendenti Golden hanno il sospetto che la firma sia stata apposta troppo presto.
«Anche noi – si difende Zerra – siamo parte lesa. La serietà delle aziende ci è stata assicurata da Castano del ministero dello Sviluppo economico, non uno qualunque». Lo stesso direttore dell’Unità di crisi del ministero a settembre ha visitato gli stabilimenti. Un monitoraggio da ripetere ogni tre mesi. In quella prima occasione il caso della Golden Lady era stato addirittura additato come modello in Italia. Mai una società in fuga all’estero si era impegnata nel cercare e favorire (alla Silda 10mila € per operaio, alla New Trade il capannone in comodato d’uso gratuito per sei anni) sostituti in grado di rioccupare il personale. Un entusiasmo quantomeno azzardato. Soprattutto considerando che – come rivelato dalla Cgil di Prato – la New Trade ai primi sentori della riconversione abruzzese ha iniziato a licenziare nella sede principale. E poi: è possibile puntare su un’azienda di 30 dipendenti per riassorbire ben 115 unità in tempo di crisi? Su tutto ciò c’è stato l’avallo del ministero. E i monitoraggi trimestrali? Non pervenuti.
All’orizzonte c’è ben poco. La Wollo sarebbe in trattativa con un’azienda che assicurerebbe 30 posti. In mezzo ci sono tante storie. C’è il dipendente scartato dalla Silda Invest che ha la moglie licenziata dalla New Trade. C’è un’altra delle licenziate che abita a neanche 100 metri dallo stabilimento raggiunto a piedi per decenni, ora costretta alla vista quotidiana del simbolo della sconfitta di un intero territorio.
Agli ex-dipendenti di Grassi, per ora, non resta che scendere uniti in strada per ricordare la propria esistenza a quelle istituzioni accorse in massa in altre occasioni e ora sorde di fronte al fallimento della riconversione.