La grande frana del '56 a Vasto: la paura di ieri e i timori di oggi

Parola al geologo Luigi Di Totto e un ricordo del giornalista Giuseppe Catania

Gianni Quagliarella (Il Messaggero Abruzzo)
19/02/2012
Attualità
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Neve, tanta, quasi come nel ’56. Anche allora era febbraio e quei giorni di paura di quasi sessant’anni fa i vastesi non li avrebbero mai più dimenticati. Fu l’anno della grande frana di Vasto, quando la terra cominciò a scuotersi, il 22, trascinando poi in agosto, dalla collina verso il mare, una delle parti più belle della città, il costone orientale. Un evento che ha segnato per sempre il tessuto urbano della perla dell’Adriatico abruzzese, cancellando 40 ettari di territorio con 150 abitazioni, alcune pure di gran pregio e il maestoso edificio postale, il palazzo Ponza. La settimana scorsa, mentre imperversava la bufera e la neve ricopriva di bianco tutta la città, sui social network più di qualcuno ha ipotizzato, rabbrividendo: "E se succede di nuovo?" La caduta di un albero nei giardini napoletani di Palazzo d’Avalos, che ha travolto un parapetto della storica residenza dei marchesi e una vistosa crepa comparsa sempre lì, sul muraglione di levante, ai brividi degli utenti di Facebook ha aggiunto sinistri presagi. "Ma no – rassicura il geologo Luigi Di Totto – non vedo affatto analogie con la rovinosa frana del ’56. Una crepa, sia pur più vistosa di tante altre, non vuol dire nulla, può essere un normale fenomeno d’assestamento, come quelli che, da secoli, si verificano su tutta la fascia orientale di Vasto". Già, un terreno ballerino, quello vastese, contrassegnato da una sigla che i geologi studiano da decenni: "Dgpv, deformazione gravitativa profonda – scandisce Di Totto – fenomeno che coinvolge tutto il versante che dalla collina affaccia sul mare, dal centro storico fino alla linea di costa. Capisco – osserva il professionista – i vastesi si chiedono se può ancora far danno. In teoria sì, non necessariamente lì dove storici, fotografi e cronisti hanno documentato il disastro del ’56, ma anche in altre zone. Dove? Alla Madonna delle Grazie, ai piedi di Palazzo d’Avalos, sotto la Loggia Amblingh, a San Michele. Aree, queste, periodicamente colpite nel tempo da movimenti franosi anche importanti". Negli anni scorsi, grazie ai fondi stanziati da governo e Regione Abruzzo, l’impresa Di Vincenzo consolidò Via Adriatica per un fronte di 325 metri, utilizzando, tra l’altro, 130 pannelli e 2850 metri cubi di calcestruzzo. E realizzando una serie di opere drenanti, per convogliare le acque che da sempre rigano e tormentano il sottosuolo dell’antica Histonium. "Opera importante – ammonisce Di Totto – che da sola però non basta: bisogna controllare, monitorare periodicamente, sentire la terra di continuo. Per evitare che i drammi si ripetano. Come nel ‘56". Non ci furono vittime, allora, ma centinaia di persone vennero evacuate, la splendida chiesa di San Pietro demolita, un quartiere intero spazzato via. "Lo ricordo come fosse ieri - dice il cavalier Peppino Catania, all’epoca giovane cronista -. Dopo l’avvertimento di febbraio tutto venne giù con fragore ad agosto. Qualche minuto prima Vincenzo Di Lanciano, che distribuiva i giornali in città, diede la sua macchina fotografica al barbiere Luigi Di Rosso e con lui mi precipitai sotto il costone. Ci fu un boato terribile, seguito da una nuvola di fumo. Di Rosso sparì, in tanti avemmo paura. Poi ricomparve, bianco di polvere, ma con la macchina fotografica ben salda tra le mani. La frana finì su tutti i giornali". Alla radio ne parlò persino un giovane e promettente presentatore: Mike Bongiorno. Lo ricordò lui stesso all’ex assessore Angela Poli Molino 11anni fa, durante una registrazione de La ruota della fortuna in tv. FOTO tratte da noivastesi.blogspot.com

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