Uaste 'bbelle, monnezza e liquami

La lettera aperta di un vastese che torna e trova la sua città totalmente diversa

a cura della redazione
11/08/2011
Attualità
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Un vastese che torna e trova la sua città più sporca e 'imbruttita' rispetto a quando l'aveva lasciata. E' su questo che si basa la lettera aperta di Giuseppe F. Pollutri. "Da 'vastese di fuori' torno, osservo, rifletto e provo a dire soprattutto al Primo Cittadino e, per proprie deleghe e competenze, agli assessori ai Servizi di Manutenzione, nonché all’Ambiente. Dico di là da una visione di parte e oltre gli schieramenti politici. Annoto per chi ‘tiene’ a Vasto, per chi pensa che gli amministratori pubblici debbano avere, più che cura, amore per questa Città, e non con sole parole con funzione di propaganda elettorale ma con atti puntuali e conseguenti. Immagino che laddove un ‘paese’ voglia porsi nella sua immagine ‘bella’, non solo per ciò che la natura o Dio gli ha fatto dono nei giorni della Creazione, che aspiri a proporsi come luogo e meta per il turismo, sia attento alla pulizia, al decoro (magari, se pur sembra eccessivo a dirsi, alla bellezza) di un arredo d’ambiente anche urbano. Riguardato questo come forma significante della città e del luogo, come elemento di quell’immagine che visitatori e vacanzieri porteranno via con sé e comunicheranno ad altri, altrove. Ma “se tanto mi da tanto”: non basta fornire ai turisti (o ai vastesi del Ritorno), spettacoli e folclore, opuscoli, guide, memorie a stampa – suggestive, illustrate, patinate – per fare bello il posto e godibile la permanenza a Vasto. Se in spiaggia, in piena estate, ora qua, ora là, liquami di fogna di provenienza e per accidentalità varia vanno a insozzare la spiaggia e le acque in cui si desidera bagnarsi o come affidarsi in esse a pieno corpo e rilassata mente; se le passeggiate dei Lungomare giorno dopo giorno, appaiono e sono, dopo averle strutturate, sempre più trascurate in quelle che originariamente si sarebbe voluto come aiuole e sono soltanto terra per escrementi e ‘monnezza’, sempre più macchiate da bevande e altri liquami versati nottetempo dai giovani e, non meno, da poco attenti esercenti nel trasportare e depositare i rifiuti organici: va da sé che il ricordo che ciascuno avrà sarà macchiato anch’esso da immagini misere ed effluvi maleodoranti. “Gna mi sùne / ‘cùscé t’abbàlle” dice un nostro adagio. Giustamente vuol dire, alla lettera, che se tu intoni e suoni bene lo strumento, così (bene o male) io regolerò il mio passo di danza. Inevitabilmente significa, in questo caso, che forse (…dubitativo di mera cortesia) gli uomini pubblici, nell’ambito dei rispettivi ruoli e funzioni, non hanno verso il luogo, verso il comune interesse, l’attenzione (dicevo il sentimento) che si deve. Se i liquami di fogna si riversano sugli antichi “fossi” che portano le acque in mare, si deve - occorre dircelo - a una politica di regimentazione di acque chiare e scure che nel tempo non è stato fatto o non ancora a dovere. Se i giovani - con le tasche ben fornite, nonostante la precarietà diffusa del loro stato - per mala-educazione e per progressiva perdita di valori anche civici lasciano sudice tracce e scie delle loro sbevazzanti nottate, nondimeno parrebbe normale e doveroso che un servizio pubblico – oltre i controlli e le sanzioni da erogare – debba riordinare e pulire, puntualmente, episodicamente almeno. In una Marina che voglia presentarsi come un ordinato e accogliente giardino in riva al mare, i netturbini, operatori ecologici di città, non possono limitarsi a raccogliere alla grossa la spazzatura, ma anche quel che sta “in giro”; un’Azienda preposta al servizio che ha nome “Pulchra” (Bella!), e per logo una lieve farfalla di primavera, dovrà lavarli sistematicamente i cassonetti e le aree di ubicazione, debba ripulirle comunque le passeggiate con apposite idropulitrici. Va da sé, si direbbe, ma non viene fatto o non abbastanza. Perché? Mancanza di fondi, ancora? Se può essere “scusa buona” questa per non porre in opera quel che si deve, tant’è che allora si abbandoni l’impresa (e la presunzione) di farsi pubblico amministratore, che si rinunci a promuovere solo su carta patinata l’immagine storica ma soprattutto turistica che Vasto ha e deve continuare ad avere. Il mio timore e non meno il sospetto sono che accanto alla mancanza di ‘cuore’, affinché “lu Uaste” continui a essere “bbelle e terra d’éure”, si stia accettando l’idea comoda di un turismo lercio e tutto di massa. In esso si troveranno pur sempre a proprio agio cittadini lerci anch’essi (di abitudini ed idee), turisti affollati e come storditi da un edonismo tutto di pancia (alla “basta che se beve e se magna” e “ci facimm ‘o bagno”); e quel che qui ho annotato si dirà parole di qualcuno che nella sua idea di una “Vasto bella” è un sopravvissuto, idealista fuor di misura. Ma, come altri e per altro: …resistere, resistere si deve. E, “per Vasto”, non tacere".

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