A rompere un silenzio ‘assordante’ ed ancora oggi carico di angoscia (a distanza di ormai quasi venti mesi da quel tragico 6 aprile 2009) sono soltanto i rumori di qualche lavoro in corso, pochi per la verità, o di qualche auto in lontananza. E’ un’autentica ‘città fantasma’ il centro storico dell’Aquila, ci giri intorno e ci passi dentro - laddove possibile - e vivi il senso di uno scoramento e di una tristezza infiniti che immediatamente ti pervadono. Tutto sembra essersi fermato a quel maledetto 6 aprile, giorno di una tragedia che ha segnato indelebilmente la storia del capoluogo d’Abruzzo. Le impalcature, le puntellature e le transenne testimoniano il senso del precario, di quello che è stato e che di sicuro non sarà più. I palazzi sventrati, le macerie che ancora si notano, i simboli e i cimeli del sisma stanno tutti lì, ad evidenziare la portata della tragedia. Il dedalo di vie del cuore della città capoluogo appare vuoto, privo di quell’intensità e di quel movimento pressoché costante che ne caratterizzavano la realtà. Niente più. Il terremoto s’è portato via tutto. Difficile ripartire, facile comprendere il dolore, l’amarezza e la disperazione di tanti. Molto tempo è ormai passato, la comunità - giocoforza - si è rimboccata le maniche, ma le difficoltà restano, e pesantemente, sul tappeto. Vasto e il Vastese, per due lutti che hanno funestato famiglie della zona, hanno vissuto pienamente il dramma del terremoto aquilano. I volti sorridenti di Davide Centofanti, 19 anni di Vasto, e di Maurizio Natale, 20 anni di Monteodorisio, difficilmente li possiamo dimenticare. Sorrisi che non ci sono più. Spazzati via, nella notte del più grande dolore. In via XX Settembre, lo ‘scheletro’ della Casa dello Studente, le foto degli ‘angeli’ universitari che lì sotto hanno perso la vita e le richieste di giustizia, attraverso striscioni e manifesti che nessuno comprensibilmente fa rimuovere, rappresentano forse più di ogni altra cosa il simbolo della devastazione di quella maledetta scossa delle 3.32. A imperituro ricordo di un’approssimazione e di una superficialità che oggi sono sul banco degli imputati attraverso le persone e le figure relativamente responsabili. Approssimazione e superficialità, già. Maledette anche quelle. FOTO di ERCOLE MICHELE D'ERCOLE