Per un vastese-di-fuori è forse più evidente. Come rivedere un amico o un parente, a distanza di tempo ti accorgi che qualcosa in lui è cambiato. Così è per Vasto, Vasto in Centro, quella che era letteralmente la Città del Guasto (d’Aymone). L’altra sera, lasciata com’è mio solito l’auto ai margini della cinta archeologica d’Histonium o in quella dei secoli trascorsi sino all’ultimo dopoguerra – tra Portanuova e Shangai, Madonna dell’Asilo, o più su nei dintorni della Villa e l’Aragona – non ho potuto fare a meno di notare numerosi esercizi commmerciali chiusi, dismessi, abbandonati. Poi, addentrantomi nel noto nucleo storico, tra i campanili di San Giuseppe e di Santa Maria Maggiore, costeggiando Palazzo d’Avalos, in via San Gaetanello ho avuto come la sensazione che dai tetti, assieme ai gatti, mi spiassero fantasmi, ectoplasmi di memoria uastarola della gente che fu. Certamente l’ora era di tarda sera, e certamente in un tempo, per quanto odoroso di rose, “fuori stagione” balneare. A breve, per un mese o poco più, l’andirivieni di gente che va alla Loggia, per una pizza o per una respirosa e ammirante veduta sul golfo, sarà quel che sappiamo. Però, Cervelati o cervelli che si debbano smuovere (come pare dica l’Archidadamo sul suo blog), la questione di un abbandono umano del centro storico, a Vasto, è sempre più una realtà, benché triste in certo modo inevitabile se non si prende a ragionare della città in modo nuovo e con occhi a un panorama urbanistico diverso e più ampio. Che piaccia o no, che sia “colpa” di un sindaco e del suo piano regolatore capro-espiatorio, come tutti affermano o accettano che si dica, l’ultimo mezzo secolo di vita urbana ha realmente e in modo crescente trasformato Vasto da Paese-città in Città vera e propria. Che fossero o siano “eccessive” le nuove costruzioni edilizie, in varie e diverse direzioni di sviluppo, oggi la città è articolata in quartieri veri e propri, con un suo localizzato aspetto e abitudini, con i suoi servizi, banche e scuole, negozi e bar, con i suoi punti di ritrovo (spazi più o meno verdi e curati, compreso), sino alle nuove Chiese di recente edificazione o in corso d’opera. I vastesi dunque non vivono quotidianamente più in centro, o non vivono come un tempo il Centro come luogo pubblico unico dove andare a passeggiare, incontrarsi, fare spesa, stare. Il Centro diventa così anche da noi il luogo della memoria storica, della cultura sedimentata, l’abitat degli avi. Perchè questi non abbiano a diventare i fantasmi che ci guardano dalle tegole muschiate dei tetti, bisognerà forse ripensare al Centro di Vasto in termini nuovi, per scopo e funzione. Avviare quantomeno un discorso (una politica per uno sviluppo e non per “il recupero”), sarà un modo intelligente di celebrare i 300 anni di una “Città del Vasto” che col tempo civile (più che politico) cambia, anzi ch’è già cambiata.