Sono accorsi in tanti ieri pomeriggio alla Pinacoteca di Palazzo d’Avalos per lo scrittore Erri De Luca, talmente tanti che in sala poco dopo l’inizio non si riusciva neanche ad entrare, in diversi sono rimasti fuori, ammassati sulla porta pur di ascoltarlo parlare. Il narratore partenopeo, autore di numerosi libri, poesie e traduzioni, ha aperto la rassegna Giovedì Rossettiani. A introdurlo il professore Giovanni Tesio, mentre Tiziano Feola ha letto alcuni brani dalle sue opere.
La manifestazione organizzata dal Centro di studi Rossettiani è dedicata al ‘dolce sud’, così il Meridione e la Napoli di quand’era bambino sono stati un modo naturale per cominciare a raccontarsi: "C’è più sud che nord, come c’è più est che ovest. Per me che sono Napoletano la definizione di sud è un po’ stretta", ha esordito De Luca con il suo tipico modo pacato di porsi che non impedisce però alla sua ironia e schiettezza di emergere e colpire chi lo ascolta.
"Napoli non è sud, è stata fondata dall’oriente, poi governata dall’occidente, da Spagnoli, Francesi e Normanni. È l’ombelico del Mediterraneo". Una città , ha spiegato, fatta di vicoli stretti, stipati di gente e cose, per cui la vista sbatte sempre contro qualcosa: un luogo che si conosce con le orecchie, un posto insonne, dove i muri di tufo non trattengono i suoni: "Ho imparato a conoscerla attraverso le voci, i racconti delle donne, perché loro avevano il diritto della narrazione". Quelle donne che avevano vissuto la guerra in città , sotto i bombardamenti, il primo conflitto moderno che "fa più vittime tra gli indifesi che al fronte. Raccontavano storie, ogni volta modificando qualcosa, con quello spirito un po’ tragico e un po’ comico tipico delle donne napoletane".
E anche quei racconti sono il punto di partenza per i libri di De Luca, perché come ripete in ogni occasione: "Non so inventare storie. Posso raccontare solo quelle che conosco, che ho vissuto con i miei sensi. Per questo nei miei libri non c’è un io narrante che sa tutto, narro dal mio punto di vista". Le sue sono "storie orali. Prima di scriverle le dico a me stesso". Perciò usa frasi brevi, "che non sono più lunghe del fiato che ci vuole per pronunciarle".
De Luca spiega poi cosa vuol dire per lui scrivere: "Non è un lavoro, è il contrario, è qualcosa che mi tiene compagnia. È il tempo salvato in una giornata. Non mi costa fatica e mi mette in pace con me stesso". Autore sia di racconti che di poesie, vive in maniera ben diversa i due generi: "Della mia pagina in prosa so che meglio di così non posso farla, della poesia so che si potrebbe fare sempre meglio, ma non ci riesco. La prosa è come andare a piedi e sai cosa calpesti; la poesia è come andare a cavallo e non sai dove si poggeranno gli zoccoli". L’idea che la sua sia una prosa poetica non gli piace proprio: "Sarebbe come andare a piedi col cavallo di fianco".
Tra i temi toccati anche il rapporto con i genitori, dai quali si è allontanato all’età di 18 per ritrovarli in seguito e non riuscire a staccarsene neanche dopo la loro morte: "Non sono credente e non ho la consolazione di ritrovarli altrove, quindi non ho modo di consumare il lutto. Non ho dato il permesso ai morti di andarsene, li continuo a nominare ed evocare. Quando scrivo dei miei genitori siamo di nuovo tutti insieme. Mia madre e mio padre sono le lingue che ho ricevuto: da lei il Napoletano, per la vita urbana, da lui Italiano, che si parlava a casa, era la lingua del riposo, con cui riordinare pacatamente le cose della giornata".
Non solo racconti, sud e famiglia, anche la politica è stata oggetto di riflessione. Tema caro allo scrittore che negli anni ’70 è stato responsabile del servizio d’ordine di Lotta continua: "La politica è diventata una branca dell’economia, lo Stato è come un’azienda. Il Parlamento sembra un’assemblea dei soci che deve sottoscrivere il bilancio. In questa deformazione c’è la nostra perdita di cittadinanza. Lo Stato deve rispondere alla condivisione di diritti e doveri, ma se scuola, sanità e giustizia sono fruibili solo da chi ha potere d’acquisto il cittadino diventa un cliente".
Partecipe il pubblico che ha sollecitato lo scrittore a parlare anche dell’ebraico, che De Luca ha imparato da autodidatta, della sua passione per la montagna e dalla Napoli di oggi: "Non vivo più lì, sono un apolide di Napoli, un Napolide, ma mi chiamano spesso per commentare i brutti fatti di cronaca e allora prevale lo spirito di contraddizione del difensore: penso che tra tanto autolesionismo ci sia anche una grande forza di resistenza".
L’incontro si è chiuso con una lunga serie di foto e autografi. Il prossimo appuntamento con la rassegna è giovedì 11 aprile con Chiara Gamberale.